Neri come la notte

Leggenda e verità sui lupi melanici d’Appennino

di Davide Palumbo

L’iconografia medioevale ci restituisce con una certa frequenza l’immagine di lupi neri; persino San Francesco è ritratto, nella foresteria del Monastero di Assisi, abbracciato al famoso lupo di Gubbio in versione melanica. In Siberia gli esemplari scuri venivano definiti Rossomak, in Arabia Derboun, Linneo stesso definiva i lupi neri come specie distinta (Canis lycaon). I naturalisti ottocenteschi conoscevano il fenomeno, considerato più frequente in Europa meridionale e più raro in Asia e Scandinavia (dove comunque esisteva una tribù di cacciatori nomadi che si ispirava, nel nome, proprio ai lupi neri).
Al di là dell’efficacia dell’immagine del lupo nero come figura negativa nelle favole e nei racconti, talmente suggestiva da sostenerne l’esistenza anche a prescindere dalla realtà, la presenza reale di una forma melanica di lupo in Europa (in America settentrionale è un fenomeno comune e noto da tempo, molto frequente nelle foreste di Canada e Alaska ma praticamente assente nei limitrofi territori aperti caratterizzati dall’ecosistema definito tundra) è stata per secoli un enigma scientifico.

Foto di Alberto Tovoli

Recenti documenti fotografici e numerosi avvistamenti vanno ad aggiungersi ad una già cospicua mole di informazioni che per la prima volta, grazie al contributo di importanti studi condotti in collaborazione con i ricercatori dell’ISPRA, ci dicono non solo che i lupi neri esistono tuttora sulle nostre montagne, ma anche che rappresentano una componente regolare dei branchi appenninici. Chiarito il dato sulla presenza, assai più complesso è il dibattito relativo all’origine degli esemplari melanici, alle ragioni alla base dell’apparente graduale diffusione della forma atipica nella popolazione italiana, all’eventuale origine “ibrida” (con cani domestici, che di fatto derivano tutti per selezione artificiale dal lupo stesso) del colore nero.

Foto di Renato Fabbri

L’interesse, rinnovato, per i lupi neri nasce nel momento in cui la loro presenza, grazie alla generale espansione della popolazione italiana degli ultimi 20 anni, si fa cospicua e dunque visibile. In provincia di Bologna, dove sono presenti ormai numerosi nuclei riproduttivi, lupi neri sono stati segnalati in diversi territori e almeno in un caso (Parco dei Laghi di Suviana e Brasimone) si tratta del maschio dominante. Altri branchi, come ad esempio quello del Parco del Corno alle Scale, sono costituiti esclusivamente da esemplari “Wild type”.
Cosa provoca dunque la presenza di esemplari con mantello nero in una popolazione di lupi europei considerata omogenea (a differenza, come già sottolineato, dei cugini americani, dove in un singolo branco possono coesistere esemplari neri, “grigi” e quasi bianchi) fino a pochi anni or sono? Diverse sono le cause finora ipotizzate: selezione naturale di forme adatte alla vita in foresta, mutazione spontanea all’interno di una popolazione molto ridotta ed isolata (i lupi italiani sono stati anche meno di 100, verso la metà degli anni ’70) o ibridazione con cani domestici, ipotesi quest’ultima che gode di una certa popolarità.

Foto di Antonio Iannibelli

In realtà la “causa” è nota, seppure da poco tempo, e risiede in una singola mutazione genetica sul gene responsabile per la produzione di una proteina, la β-defensina, coinvolta nella risposta immunitaria nei processi infiammatori della pelle, mutazione che ha come conseguenza il colore nero del mantello. Questa piccolissima alterazione è presente anche nei cani, ed è la causa del colore nero anche nei lupi americani (e persino nel Coyote). Nessuna altra differenza, allo stato attuale delle conoscenze, intercorre tra lupi con mantello “classico” e lupi neri, che risultano dunque essere lupi al 100% e non ibridi con forme domestiche. D’altra parte, essendo i lupi neri parte integrante di numerosi branchi in Italia (e in America settentrionale), che risultano ormai al di là di ogni dubbio (sono migliaia i campioni di DNA analizzati) privi di “contaminazioni” causate dall’incontro con forme domestiche, non è possibile considerarli ibridi a meno di considerare tale l’intera popolazione cui appartengono. Diverse sono tuttavia le cause che hanno contribuito alla formazione e alla diffusione di questa teoria. Almeno in un caso, in Maremma, un branco isolato di chiara origine ibrida presentava esemplari neri (ma non a causa della mutazione di cui sopra); alcune lobby individuano nella presenza di lupi neri la “prova” della presenza sul territorio di lupi non puri, privi dunque di interesse conservazionistico e, anzi, da eliminare selettivamente; analisi comparative di sequenze di DNA sul gene per la β-defensina in prossimità della mutazione ne individuano l’origine a circa 15.000 anni fa (a dire il vero con una “forchetta” abbastanza ampia, ovvero tra 12.000 e 120.000 anni da oggi), che corrisponderebbe alle prime fasi di domesticazione del cane a partire da popolazioni asiatiche di lupo. Sarebbe dunque teoricamente possibile immaginare che la mutazione sia intervenuta nel cane all’inizio del percorso di domesticazione,  non dunque in popolazioni selvatiche di lupo, e in seguito integrata nelle popolazioni selvatiche a seguito di reincroci tra lupi e forme proto-domestiche. Potrebbe secondo alcuni essere un “sito fragile” nel dna, quindi soggetto a delezioni (perdita di alcune basi) con relativa frequenza: la mutazione potrebbe dunque essere intervenuta più volte in modo indipendente.  Seguendo il caro rasoio di Occam, tuttavia, sarebbe più semplice immaginare la mutazione presente nella popolazione selvatica di lupo, ereditata dal cane (che, ricordiamolo, “pesca” interamente nel patrimonio genetico del progenitore selvatico)  e quindi selezionata artificialmente insieme a numerose altre caratteristiche atipiche sfavorite in natura.

Foto di Antonio Iannibelli

Resta aperto l’interrogativo della apparente progressiva diffusione dei lupi neri in Appennino, al di là della recente espansione e dunque della maggiore visibilità relativa anche degli esemplari anomali. Dal punto di vista selettivo, analogamente alla situazione nota per il Nordamerica, gli ambienti forestali, la cui estensione in Italia è in continuo aumento relativo, potrebbero favorire gli individui scuri (che si mimetizzano meglio nell’ombra dei boschi) così come accade per il leopardo in Asia (la famosa pantera nera) e per il giaguaro in Amazzonia, e in Italia i lupi vivono prevalentemente in aree con forte copertura arborea. Come è noto agli studiosi di genetica delle popolazioni, inoltre, è proprio in occasione di forti contrazioni nel numero in popolazioni isolate (i cosiddetti “colli di bottiglia”) che si “fissano” caratteri inusuali, e i nostri lupi ci sono passati negli anni ’70. Tornando all’ipotesi dell’ibridazione con cani, uno dei rischi paventati in passato dagli scienziati per la sopravvivenza del lupo in Italia, studi ben noti dimostrano che geneticamente lupi e cani risultano nettamente distinti e gli eventi di ibridazione, che talvolta certamente avvengono (sono noti diversi casi, accuratamente monitorati), danno luogo a individui ibridi che, per barriere comportamentali, non si reintegrano con la popolazione selvatica, preservando la “purezza” del lupo lungo tutta la catena appenninica.
E’ stato persino ipotizzato che gli esemplari neri, proprio a causa della mutazione, siano più resistenti nei confronti di determinate patologie cutanee, quali la rogna sarcoptica.
Quale che sia l’origine e la modalità della diffusione attuale della forma melanica, in ogni caso, i lupi neri sono dunque puri e totalmente selvatici, probabilmente esistono in piccoli numeri da sempre nella popolazione eurasiatica e più frequentemente nei lupi di Canada, Alaska e Stati Uniti occidentali, e ora in Italia; l’origine del mantello nero nelle due popolazioni è omologa e antica, e probabilmente l’aumento della visibilità dei neri “nostrani” è dovuta a un concorso di fattori tra cui vantaggio selettivo (mimetismo in ambienti forestali o maggiore resistenza alle infezioni), maggiore consistenza numerica e affermazione di una caratteristica inusuale dovuta al recente “collo di bottiglia”.
Consapevole di avere utilizzato argomenti in qualche modo più tecnici del solito, e dunque più “ostici”, ho inteso con questa breve sintesi fare luce su un fenomeno potenzialmente all’origine di  malintesi o distorsioni, già percepite in taluni contesti e, forse, strumentalizzabili da parte di alcuni portatori di interesse ancora ostili alla presenza dei predatori nei territori montani.
Nero o fulvo, dunque, il lupo resta il lupo, controverso, misterioso e fiero signore delle nostre foreste.
DAVIDE PALUMBO

5 commenti su “Neri come la notte”

  1. alessandra bernardini

    oggi 18.04.11 sotto casa mia alle porte di gaggio montano e molto vicino al centro abitato sono quasi certa di avere visto nel campo sotto casa alle ore 6,20 circa un lupo nero e un lupo con i classici colori del lupo .sono quasi certa di quello che dico perchè ho svegliato mio figlio e l’ho fatto vedere anche a lui . mentre osservavavo il lupo mero che ho visto per primo puntare con insistenza una siepe frequentata solitamente da caprioli, un secondo lupo che forse era sdraiato si à alzato nelle vicinanze ed ho potuto vederlo chiaramente con il binocolo . se non fosse stato per il lupo nero che spiccava nell’erba alta DEL CAMPO NON AVREI SICURAMENTE VISTO il secondo esemplare . è possibile che il lupo dominante del brasimone possa essersi spinto tanto lontano? o esistono altri lupi neri in zona?

  2. Grazie Alessandra per aver condiviso con noi questa notizia.
    Sono possibili entrambe le ipotesi, ma conoscendo il nero del Brasimone che sembra molto territoriale penso che è più probabile che si tratta di un altro esemplare, magari un suo figlio. In ogni caso come avrai letto i lupi neri sui nostri Appennini ci sono a volte si fanno anche vedere.
    Leggi anche QUI I lupi neri dell’Appennino Tosco Emiliano

  3. andrea bortolni

    Ciao a tutti, potrebbe essere la coppia che fino a marzo veniva vista dalle parti di Savigno, e sotto Tole’, per loro e’ uno spostamento relativamente breve scavalcando qualche crinale a Castel d’Aiano, in questo caso il nero e’ la femmina in quanto piu’ piccola ed e’ stata osservara urinare …

  4. alessandra bernardini

    è possibile che il maschio fosse quello chiaro perchè mi è sembrato più grande di quello nero
    Penso anche che non potesse essere il lupo del brasimone perchè mi e sembrato un pochino imprudente nel farsi notare in quel modo e quindi un animale abbastanza giovane anche se non cucciolo.
    grazie per avermi risposto così velocemente ciao a tutti

  5. Pingback: I lupi neri d’Appennino | Italian Wild Wolf

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