Vogliamo condividere la posizione di Canislupus Italia Onlus sul Piano poichè riteniamo che sia la più costruttiva di tutte quelle pubblicate. Grazie, anche, all’esperienza del Presidente dell’associazione, Duccio Berzi, che da anni mette a punto e realizza sul campo interventi di prevenzione per la mitigazione del conflitto, lavorando a fianco di allevatori di alcune delle regione più critiche.
Canislupus Italia Onlus, da subito ha preso posizione sul Piano, criticandolo dove necessario, ma sempre con spirito costruttivo sia sul metodo con cui questo Piano è stato costruito, sia sugli aspetti di merito, facendo riferimento alle anticipazioni che venivano rese pubbliche e senza lanciarsi in analisi infondate come fatto da molti.
I confronti per l’approvazione del Piano, hanno visto prima il tentativo di negoziare un consenso sui vari punti, poi hanno subìto un pesante condizionamento mediatico, che ha condizionato la classe politica, a causa soprattutto di uno specifico punto del Piano, quello in cui si prevede la possibilità di deroghe al divieto di rimozione di lupi dall’ambiente naturale. Si è quindi alla fine deciso di rinviare il dibattito su tutto il Piano, secondo l’ormai consueta prassi politica del “decidere di rinviare la decisione”. La peggiore delle scelte in questo momento.
Proviamo perciò a fare il punto della situazione e ad esprimere un opinione più laica possibile, partendo dal presupposto che nella stesura di un piano di questo tipo, ci si deve ovviamente confrontare con gli aspetti sociali della questione e si deve anche valutare l’efficacia e la fattibilità di quanto ci si propone di attuare; riteniamo altresì sbagliato banalizzare il Piano riducendolo ad un semplice “si vuole aprire la caccia al lupo”, valutando come necessaria una gestione della questione lupo contestualizzata alla situazione odierna e rilevando inoltre come il Piano contenga delle proposte concrete che sono condivise all’unanimità da anni. Si ritiene però che il Ministero abbia peccato in termini comunicativi, sottraendosi a fornire informazioni sulle modifiche via via apportate alla bozza resa pubblica, datata 22 dicembre 2015, e quindi ingenerando sospetti che hanno creato il clima di scontro delle ultime settimane; parimenti una contrapposizione meno aprioristica delle associazioni animaliste, magari accompagnata da maggiore disponibilità al confronto sulla problematica del randagismo, aiuterebbe certamente un confronto più pacato e costruttivo.
Due domande e relative risposte, propedeutiche alle successive considerazioni:
1) Chi ha redatto il piano? Il M.A.T.T.M. (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) ha affidato il compito all’U.Z.I. (Unione Zoologica Italiana) ponendo la condizione del coinvolgimento più ampio possibile di chi, in ambito nazionale e a vario titolo, si occupa del lupo. Da parte dei coordinatori del progetto è stata quindi rivolta alla comunità dei tecnici (ricercatori, personale dei Parchi e delle Amministrazioni locali, etc.) la richiesta di mettere a disposizione i dati in loro possesso al fine di produrre uno scenario attendibile su distribuzione e consistenza della specie in Italia. Di fatto quindi buona parte dei 70 tecnici coinvolti (e spesso utilizzati in modo strumentale come “scudo di garanzia”) non hanno partecipato attivamente alla definizione del Piano, come spesso si è lasciato supporre, ma hanno semplicemente fornito dati raccolti nel corso delle proprie attività.
2) Perché si rende urgente l’approvazione di un Piano sul Lupo? Perché, il lupo è una specie che fino ad alcuni decenni fa versava in una situazione di crisi demografica, ma che negli ultimi anni ha subìto un indiscusso incremento numerico ed ha ampliato sensibilmente il proprio areale, arrivando a colonizzare ambienti rurali e periurbani, creando conflitti e tensioni. In alcune aree questo avvicinamento alle zone urbanizzate ha comportato anche l’ibridazione con i cani; Il conflitto è quindi indubbiamente alto. Da qui l’urgenza di approvare il nuovo Piano, sia perché il “vecchio” è scaduto da anni, sia perché il Piano è lo strumento di riferimento operativo per le Regioni e per le politiche locali, che attualmente sono del tutto scoordinate.
Passando a valutare i contenuti del Piano (facciamo necessariamente riferimento all’unica bozza attualmente disponibile che trovate in allegato) ci pare di poter affermare che i punti critici del piano siano fondamentalmente due, entrambi contenuti nella PARTE III: “Azioni per la gestione”. Questi punti, presi in ordine cronologico, sono:
III.3. “Azioni per la prevenzione e mitigazione dei conflitti con le attività zootecniche”
III.7. “Deroghe al divieto di rimozione di lupi dall’ambiente naturale”.
Relativamente al punto III.3. occorre considerare come, pur essendo i metodi di prevenzione noti da tempo ma quasi mai applicati in maniera diffusa e capillare (tranne per poche realtà virtuose) non sia garantito alcun finanziamento per queste azioni e tutto venga demandato alle Regioni. Le Regioni, dal canto loro, hanno difficoltà (sia economiche, sia, più spesso, politiche) a mettere in atto o incentivare queste importanti misure di prevenzione, in pratica quindi si indicano le cose che bisognerebbe fare ma non si forniscono le risorse per farlo. In sede di discussione del Piano, questo ha rappresentato uno dei maggiori ostacoli all’approvazione da parte delle Regioni e una delle potenti molle che hanno spinto verso il rinvio. In sostanza mancano garanzie sulla copertura finanziaria di questa importantissima azione, la cui mancata implementazione non può che mettere in discussione tutto l’impianto del documento.
Per quanto riguarda il punto III.7. l’analisi è più complessa: intanto ribadiamo che non si tratta di una novità sotto il profilo giurisprudenziale, in quanto la possibilità di abbattimento in deroga è prevista già dal 1997; due volte sono state richieste deroghe dalla Regione Piemonte, ma le richieste non sono mai state accordate da ISPRA, non tanto per motivi tecnici, quanto per motivi politici. La novità del Piano non è quindi “l’apertura della caccia al lupo” o “gli abbattimenti in deroga”, ma la rimozione del veto politico ad una azione che comunque è soggetta ad un iter autorizzativo di carattere tecnico. Se è vero che sono criticabili posizioni rigidamente aprioristiche quali “il lupo non si tocca” o “il lupo deve morire”, altrettanto vero che occorra valutare con attenzione le motivazioni che inducono a ipotizzare abbattimenti in deroga e soprattutto gli eventuali scenari che i prelievi in deroga verrebbero a determinare, quindi, in ultima analisi, la loro reale efficacia. Le motivazioni che hanno indotto l’inserimento nel Piano della possibilità di prelievi in deroga, sono indicate in modo piuttosto chiaro nel piano stesso che al punto III.7.1 “ Possibili obiettivi della deroga” elenca fra l’altro alcune “giustificazioni” alla richiesta di prelievo in deroga:
“Oggettive condizioni di forte tensione sociale si possono verificare soprattutto in alcune parti dell’areale del lupo dove la specie ha fatto ritorno dopo decenni di assenza e dove si sono sviluppati metodi di allevamento che, per essere compatibili con la presenza del lupo, richiedono onerose misure di prevenzione. In queste condizioni, il prelievo di alcuni esemplari può costituire, presso i gruppi di interesse più colpiti, una forma di gestione che può coadiuvare le altre azioni di prevenzione e mitigazione dei danni. Inoltre, può rappresentare un importante gesto di partecipazione e una dimostrazione di flessibilità che possono aiutare a superare il clima di contrapposizione che a volte sfocia in atti di bracconaggio incontrollabile. Può quindi contribuire ad instaurare quel clima di condivisione necessario ad attuare una più complessa strategia di coesistenza“.
In estrema sintesi quindi si ammette che, dato che le azioni di prevenzione possono essere molto onerose, in situazioni dove ci sono condizioni di forte tensione sociale, il prelievo di qualche lupo può rappresentare un gesto di partecipazione e una dimostrazione di flessibilità; in pratica una sorta di contentino alle fazioni più “arrabbiate” nei confronti del Lupo. Ci sembra che questa motivazione sia assolutamente priva di senso logico e decisamente inaccettabile. L’autorizzazione per l’abbattimento in deroga deve essere richiesta dalla Regione (che si deve assumere la responsabilità politica dell’atto) e approvata da ISPRA, sempre che siano soddisfatte una serie importanti di condizioni, che implicano dei costi elevati (monitoraggio del branco, sperimentazione di tutte le soluzioni alternative possibili, etc.). Tutto questo si tradurrebbe in nuovi caroselli e scontri tra animalisti e allevatori/cacciatori, ricorsi legali, come si può facilmente constatare dall’esperienza dei Francesi e degli Svizzeri, innalzando il livello del conflitto a livello locale.
Perplessità ci viene anche dalla valutazione della possibile reale efficacia del prelievo di qualche individuo in situazioni di particolare conflitto, dopo aver comunque rispettato tutte le condizioni richieste per valutare tale possibilità. Abbattimenti selettivi di qualche individuo su popolazioni di una specie caratterizzata da aggregazione in branchi socialmente strutturati, riteniamo siano di fatto ininfluenti, e non tanto per una ipotetica destrutturazione sociale, ma semplicemente perché l’eliminazione di un individuo da un branco (3 o più individui) comporterà solo una temporanea riduzione della capacità predatoria del branco stesso, che si potrà manifestare nell’incapacità di predare grossi ungulati selvatici, non certo pecore; inoltre la ricostituzione numerica del branco sarà una questione risolta in un breve lasso di tempo, vista la biologia della specie e la disponibilità di prede che il lupo ha in buona parte dell’Italia. Queste sono questioni facilmente comprensibili a tutti, senza scomodare i testi di ecologia che le portano spesso come esempio agli studenti. Nel caso di una coppia fertile di lupi, l’effetto negativo di possibile limitazione della potenzialità predatoria verso selvatici, sarà ulteriormente aggravato dall’aumentato rischio di formazioni di coppie temporanee con cani vaganti o individui ibridi, rischiando di aumentare di fatto il fenomeno dell’ibridazione. Non esistendo l’equazione branchi più piccoli = meno danni l’unica possibilità di limitare la predazione sui domestici sarebbe quindi quella di prelevare l’intero branco (ma questo, oltre che improponibile, è legalmente irrealizzabile), oppure di indirizzare il prelievo verso gli individui in dispersione o “problematici” (culturalmente predisposti a rivolgere la loro attenzione al bestiame domestico), ma anche questa condizione, che se ne dica, non è per niente semplice da attuare. Infine, questo tipo di azione non può certo ambire a risolvere quei casi urgenti in cui l’abbattimento di un singolo animale potrebbe essere finalizzato a risolvere il problema locale di predazioni, visti i tempi che l’iter autorizzativo richiede; creerebbe per contro forti aspettative da parte del soggetto danneggiato, destinate poi a vanificarsi.
Non è inoltre da trascurare l’impatto i termini di percezione da parte dell’opinione pubblica di questo elemento di novità introdotto con il Piano e gli effetti concreti sulla specie che ci si propone di conservare. Già da quando sono state diffuse le prime anticipazioni si è assistito ad una proliferazione di titoli sui giornali del tipo “La Regione apre la caccia ai lupi” (QN/Il Resto del Carlino, gennaio 2016), “Dal 2 febbraio sarà legale uccidere i lupi in tutta Italia” (Il Secolo d’Italia, 29 gennaio 2017), che di fatto si traducono in una diversa percezione dello status di protezione di cui il lupo gode, che ingenera un senso di minore gravità dell’atto di bracconaggio. Questo in un momento in cui le forze dell’ordine preposte alla vigilanza ambientale e all’antibracconaggio sono ridotte all’osso.
La valutazione conclusiva ci porta a considerare negativamente la gestione da parte del Governo di tutta la questione, dal conferimento dell’incarico per la redazione del Piano affidata ad UZI invece che ad ISPRA, che è l’organo tecnico del Ministero preposto dalla legge per questo tipo di lavoro, alla gestione del processo partecipativo e della comunicazione. Riteniamo inoltre deleterio l’avvenuto rinvio dell’approvazione dell’intero piano, evento che finirà solo per esacerbare ulteriormente il clima di confronto e portare ad un aumento della polarizzazione delle opposte fazioni, allontanandole ulteriormente e vanificando la possibilità di crescita congiunta che l’approvazione di un buon Piano di Gestione avrebbe potuto generare.
Si auspica quindi assunzione di responsabilità da parte del Ministro e maggiore chiarezza politica, che si traduce in
1) Assicurazioni inequivocabili sulla copertura economica del Piano.
2) Assicurazioni sul valore prescrittivo dello stesso.
3) Indicazioni politiche chiare e non equivoche sulle scelte gestionali.
Gli abbattimenti in deroga formulati in questo modo non hanno tecnicamente senso, né per gli allevatori, né per la conservazione del lupo (obiettivo principale del Piano) né per la pace sociale. Se la volontà del Governo è quella di soddisfare le istanze delle Associazioni di cacciatori e associazioni agricole, la scelta deve essere quella di indirizzarsi verso l’eradicazione del lupo tramite caccia nelle aree di potenziali conflitto, assumendosi la responsabilità politica della scelta. Se la volontà del Governo è davvero quella di aiutare i pastori, si impegni realmente a sviluppare politiche di valorizzazione dei loro prodotti , ad alleggerire il carico fiscale, a semplificare la burocrazia, ad affrontare il problema ungulati e, dove necessario, ad investire concretamente in prevenzione, come già fatto, con ottimi risultati da alcune Regioni.
Il resto sono equilibrismi e demagogia.
Il lupo è uno dei problemi della zootecnia, non l’unico, come dimostra la crisi del settore zootecnico in Sardegna, dove il lupo non è mai esistito.