di Erika Ottone
“Se non fai il bravo arriva il lupo cattivo”. Quanti di noi hanno sentito questa frase durante la propria infanzia. Da bambini credevamo tutti al lupo cattivo, quello che mangia la nonna di Cappuccetto Rosso e i bambini che non ubbidiscono. Anch’io ci credevo e nonostante la paura desideravo tanto vederlo, ne combinavo di tutti i colori, ma lui non arrivava mai.
Anche Angelo è cresciuto con la storia del lupo cattivo, ma il protagonista della sua storia era reale e non mangiava i bambini bensì le pecore. Il nonno gli aveva detto che avrebbe potuto incontrare davvero un lupo, gli aveva insegnato che i lupi non vanno mai guardati negli occhi e se mai lo avesse incontrato doveva mordersi i mignoli di entrambe le mani, altrimenti avrebbe perso la voce per giorni. Angelo, allevatore calabrese oggi settantenne, ha incontrato il lupo diverse volte nella sua vita, la prima quando era solo un bambino e per fortuna si ricordò dell’insegnamento del nonno.
Erano gli anni 50 e se per la maggior parte degli italiani avvistare un lupo era un evento impensabile, per pochi come Angelo era invece raro ma possibile. In quegli anni la popolazione di lupo, ampiamente diffusa sull’intera penisola italiana e in Sicilia fino alla metà del XIX secolo, appariva ridotta ma ancora distribuita in modo continuo lungo l’intera catena appenninica. Sulle Alpi il lupo era già stato sterminato negli anni ’20 ed in Sicilia negli anni ’40, mentre in Sardegna non è mai stato presente.
Durante il ventennio che seguì il secondo conflitto mondiale, la popolazione subì un’ulteriore drastica riduzione. Il suo areale andò progressivamente restringendosi ai massicci montuosi dell’Italia centro-meridionale e agli inizi degli anni ’70 la popolazione italiana raggiunse il minimo storico: solamente 100 lupi furono stimati in tutta la penisola.
Le cause che ne hanno determinato il declino sono state diverse: la contemporanea riduzione delle popolazioni di ungulati selvatici, la deforestazione e la perdita di habitat, l’antropizzazione dei territori e il disturbo legato alle attività antropiche e soprattutto la persecuzione. Nei testi legislativi italiani in materia di caccia il lupo veniva etichettato come specie nociva e ne veniva consentita l’uccisione con qualsiasi mezzo. La caccia al lupo non solo era legale ma veniva anche remunerata. In Italia esistevano gli Uccisori di lupi feroci ai quali spettava una ricompensa di qualche lira per ogni lupo ucciso.
Qualche anno fa ho conosciuto la sig.ra Antonietta di 92 anni e vedova di un uccisore di lupi ovvero un luparo. Il marito era chiamato Novantanove perché lui e la sua famiglia, lupari da generazioni, vantavano, a loro dire, l’uccisione di ben novantanove lupi. Il suo più grande rammarico era quello di non aver ucciso il centesimo lupo e di aver così perso il premio che spettava alla sua famiglia. Antonietta conservava ancora un documento del XIX secolo dell’Ufficio della Regia Intendenza in cui veniva predisposto un premio di 500 lire per ogni lupo ucciso e racconta di un premio di 10.000 lire promesso al marito dalla comunità del suo paese all’uccisione del centesimo lupo. I suoi concittadini erano pronti a fare una grande colletta per ripagare il marito per il suo servizio utile alla comunità.
I premi corrisposti ai lupari non erano solamente in denaro, anzi, spesso si trattava di una pagnotta, di qualche patata, di una forma di pecorino, nei migliori dei casi di un agnello o capretto. La gente del paese era pronta a donare ciò che aveva pur di sdebitarsi con loro.
A Novantanove fu vietata la sua centesima operazione di caccia quando nel 1971 per l’accresciuta consapevolezza della ormai vicina estinzione del lupo, un Decreto Ministeriale ne sospese temporaneamente la caccia. Solamente nel 1976 il lupo venne riconosciuto legalmente specie protetta.
Da quel momento si è assistito ad una fase di espansione naturale che ha condotto alla progressiva ricomparsa del lupo lungo la catena appenninica meridionale e centro-settentrionale. Negli anni ’80 il lupo aveva già raddoppiato il suo areale e negli anni ’90, dopo circa un secolo di assenza, aveva raggiunto le Alpi occidentali.
Attualmente la popolazione alpina occupa la maggior parte delle Alpi occidentali in Italia e in Francia, ed è tuttora in fase di espansione su tutto l’arco alpino; la popolazione appenninica è ormai presente sull’intera catena montuosa, dalla Liguria fino alla Calabria, nelle aree collinari, in Pianura Padana, nel Salento e in alcune regioni ha raggiunto addirittura la costa.
Se vi state chiedendo quanti lupi ci sono oggi in Italia, dovrete aspettare ancora un po’ per avere una risposta. Nel 2020 è iniziato il monitoraggio del lupo su tutto il territorio nazionale che ci permetterà di avere a breve una stima della popolazione italiana.
Oltre alla tutela legale, hanno contribuito all’espansione del lupo il graduale abbandono delle zone montane da parte dell’uomo, l’attuazione di una serie di programmi rivolti alla tutela ambientale come l’istituzione di aree protette, la reintroduzione e il ripopolamento di specie di interesse venatorio soprattutto gli ungulati selvatici, specie preda del lupo.
Il resto è opera della formidabile capacità adattativa della specie. Grazie all’ecologia alimentare di tipo opportunistico è riuscita a sopravvivere e ad adattarsi a nuove condizioni ambientali. Il comportamento di dispersione tipico dei giovani che lasciano il branco alla ricerca di un territorio libero dove stabilirsi e creare una propria famiglia, ha poi favorito il successivo processo di ricolonizzazione del territorio italiano.
L’espansione territoriale del lupo è quindi un fenomeno del tutto naturale. In Italia non sono mai stati effettuati reintroduzioni o ripopolamenti di lupi in natura. Eppure è ormai radicata nella nostra cultura l’idea che il lupo sia presente in Italia grazie a programmi di reintroduzione “con lanci dagli elicotteri”.
Chi vive nelle aeree dove il lupo è sopravvissuto sa bene che questa specie è sempre esistita e ha imparato a conviverci.
Ho conosciuto Mario, in transumanza sul Massiccio del Pollino. Durante i suoi 84 anni, ha sempre fatto il pastore, custodendo con attenzione i suoi bovini. Il giorno in cui l’ho conosciuto, un lupo aveva da poco predato un vitello appena nato, era la prima volta che Mario perdeva un animale. Mentre mi raccontava quello che era successo abbassava lo sguardo, la sua era vergogna perchè aveva commesso un errore, una distrazione che non riusciva a perdonarsi, quasi come se avesse disonorato anni di rispettata carriera. Io invece vedevo solo un uomo esile con una dignità immensa e con il coraggio o forse la testardaggine di chi non vuole arrendersi al tempo. Curiosa di conoscere la sua storia con i lupi del Pollino, gli ho chiesto se ne avesse mai visto uno e come avesse fatto in tutti questi anni ad evitare che i suoi animali venissero predati. Lui rispose: “Viviamo insieme, io dormo qui con i miei bovini e i lupi. Gli animali vanno custoditi, è l’unico modo per evitare che il lupo li mangi”.
Pochi mesi fa ho conosciuto Rosa, un’allevatrice di pecore e bovini sui pascoli della costa ionica lucana. Qui i lupi sono arrivati due anni fa, vivono in ciò che resta di una foresta planiziale a ridosso della spiaggia, dove spesso ritroviamo le trecce impresse nella sabbia. Lei, i lupi non li ha mai visti, non li conosce eppure li odia. È convinta che i lupi mangino i suoi animali e possano fare del male ai suoi bambini o a lei stessa e naturalmente è convinta che qualcuno li abbia “lanciati”. Rosa non custodisce gli animali al pascolo, li lascia da soli in campi recitanti con un solo filo elettrificato. Qui la zootecnia si è sviluppata negli anni senza contemplare la presenza di un predatore e adesso ogni cambiamento viene vissuto con paura e ostilità.
Quando ho conosciuto Rosa è stato inevitabile per me ripensare ai miei incontri con gli allevatori del Pollino, da sempre conviventi con il lupo. Ho pensato ad Angelo, oggi ha due nipotine e a loro ha raccontato che il lupo può mangiare le pecore e che per questo il nonno accompagna il gregge tutto il giorno, ha raccontato dei poteri magici e del trucchetto dei mignoli, ma non ha mai raccontato loro la storia del lupo cattivo che mangia i bambini. Nonostante l’attribuzione di un’aurea magica, cosa che mi è capitato di sentire in diversi racconti, chi il lupo lo conosce sa che non è un animale cattivo e famelico al punto di mangiare e divorare tutto, anche i bambini.
Ho ripensato a Mario, a quel “Viviamo insieme” pronunciato con spontaneità, naturalezza e senza paura. I pastori come Mario hanno imparato a difendere i propri animali e a convivere sullo stesso territorio con i lupi.
Ho capito allora cosa può fare la mancata conoscenza, quanta paura può essere generata dall’ignoranza e quanto non faccia bene alla nostra comunità la divulgazione di informazioni non corrette. L’atteggiamento di Rosa e di tanti altri cittadini è infatti il risultato di fattori culturali, sociali, economici e politici.
Poche centinaia di chilometri separano Rosa da Angelo e Mario; i lupi hanno impiegato più di mezzo secolo per percorrerli tutti, nel frattempo l’uomo ha dimenticato come si fa a convivere con loro. È importante recuperare quella memoria storica ed è importante sconfiggere la paura verso ciò che non si conosce attraverso una corretta informazione.
Alla fine anch’io ho visto un lupo, ho aspettato tanto ma ci sono riuscita. L’ho visto nella pineta dietro la spiaggia, proprio quella che attraversavo da bambina per andare al mare. Non ho avuto il coraggio di Mario, tremavo, ma vi giuro che era solo emozione! E non ho avuto neanche la prontezza di Angelo nel mordermi le dita, l’ho guardato negli occhi e ho perso la voce.