La vera storia dei lupi neri

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Di Brunella Pernigotti

Foto di copertina di Renato Fabbri

Esistono i lupi neri?
Una domanda intrigante che, per certi versi, evoca mistero e magia. Ma nulla di tutto questo può trovarsi nella chiarezza della risposta: sì, esistono! Già dagli anni ’60, lo studioso David Mech rilevò una percentuale di circa il 3% di lupi neri tra quelli che aveva osservato nel Minnesota. Dal 1980 al 2020, i biologi dichiararono che circa il 2% dei lupi in quelle regioni erano neri, basandosi sui dati forniti da John Hart del Dipartimento Dell’Agricoltura degli Stati Uniti. Learn about black wolves | International Wolf Center
In Canada, invece, i lupi dal manto nero sono più frequenti. E proprio da quelle regioni arrivavano i primi 14 lupi reintrodotti nel Parco Nazionale di Yellowstone nel 1995. Da allora i lupi hanno ripopolato il parco contribuendo, al vertice della catena trofica, al ricupero dell’ambiente naturale grazie alla loro attività di selezione delle prede più numerose, deboli, o ammalate. Ora nella sola area del parco vive qualche centinaio di lupi.
Spesso confusi con cani o ibridi, i lupi geneticamente puri possono avere un polimorfismo nel colore del mantello.
Sul sito del National Park Service del Parco di Yellowstone si trova la spiegazione dell’origine della caratteristica melanica della pelliccia di questi lupi: “La presenza di pelliccia nera è dovuta a un singolo gene (un gene β-defensina chiamato CBD103 o K-locus), che hanno tutti gli individui dal manto nero, i quali sono portatori di una mutazione genetica legata a questo colore – una mutazione che si crede aver avuto origine nei cani domestici del Vecchio Mondo. Il K-locus nei lupi ebbe probabilmente origine da un’ibridazione tra cani e lupi avvenuta nel nord-ovest del Nord America negli ultimi 7.000 anni, quando gli uomini portarono con sé i cani domestici attraverso l’ormai scomparso Ponte di Terra di Bering.”
Premesso che tutti i lupi fanno parte della specie Canis Lupus e che, quindi, non esiste differenza genetica tra lupi neri e lupi grigi, ciò che per me presenta un aspetto quasi magico è il loro distinguersi nel carattere e nelle qualità da quelli dal colore grigio. Per esempio, i lupi dal manto grigio sono più aggressivi dei loro fratelli neri: tendono ad attaccare più facilmente i propri conspecifici e a lottare per il predominio. Gli autori dello studio Sexually dimorphic aggression indicates male gray wolves specialize in pack defense against conspecific groups (wolf.org) del 2016 spiegano che tale differenza di comportamento è dovuta al differente livello dell’ormone cortisolo presente nei due tipi di lupo.
I lupi neri sono più rari di quelli grigi, e in una ricerca del 2013 (https://besjournals.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/j.1365-2656.2012.02039.x ) Daniel Stahler e altri suoi colleghi spiegano che le femmine dal mantello nero risultano subire il 25% in più di mortalità tra i propri cuccioli rispetto alle femmine grigie e questo ha contribuito probabilmente a mantenere un sistema di polimorfismo del colore. Vale a dire, dal momento che sopravvivono meno cuccioli di lupi neri, è ovvio che ce ne siano meno che si riproducono e trasmettono il gene.
Ma la differenza più sorprendente e difficile da studiare è quella legata alla resistenza al virus del cimurro, come è ben spiegato nello studio a firma di Cubaynes e altri, pubblicato sulla rivista Science nell’ottobre del 2022 Disease outbreaks select for mate choice and coat color in wolves | Science
Il cimurro o CDV (Canine Distemper Virus) probabilmente si è evoluto da epidemie di morbillo umano che decimarono le popolazioni indigene del Sud America quando il virus si diffuse nell’abbondante popolazione canina e si trasformò in CDV prima di essere trovato in Nord America negli anni Sessanta del Settecento. Analizzando i dati provenienti da tutto il Nord America, ma soprattutto dalle popolazioni di lupi del Parco Nazionale di Yellowstone, Cubaynes et al. hanno scoperto che i mantelli neri vengono mantenuti grazie alla superiorità eterozigote nei lupi neri e alla preferenza nella scelta di un compagno dal mantello nero nelle aree in cui il cimurro è endemico, anche se i lupi dal mantello grigio hanno un successo maggiore quando il virus è assente. Ecco che allora la frequenza delle epidemie di CDV genera una selezione fluttuante che si traduce in un vantaggio eterozigote che a sua volta influenza sia la frequenza dell’allele nero, sia il comportamento di accoppiamento ottimale, sia la tendenza all’aumento dei lupi neri in tutto il continente.
La variazione di colore negli animali anche di altre specie è spesso un segnale per valutare la qualità dei potenziali compagni e il loro adattamento alle condizioni ambientali. In molte specie, il colore varia col variare della latitudine, del clima, delle risorse alimentari, dei predatori e, infine, della presenza di parassiti specifici. Il colore di un individuo può indicare la sua condizione o lo stato di salute.
Gli studi di Cubaynes e dei suoi colleghi hanno rivelato che i lupi neri eterozigoti hanno una sopravvivenza più elevata rispetto ai lupi grigi, ma solo negli individui con infezione da CDV. Poiché l’ereditarietà nel locus K è mendeliana, se il vantaggio di sopravvivenza dell’eterozigote con mantello nero esposto a CDV compensa la ridotta fertilità delle femmine nere, allora può essere vantaggioso accoppiarsi con un partner di colore opposto per massimizzare la probabilità di produrre prole eterozigote quando le epizoozie sono frequenti.
Quando la colorazione è determinata geneticamente e la resistenza alle malattie è ereditaria e associata a essa, la preferenza per un compagno di un colore specifico migliorerà l’idoneità fisica, ottimizzando le possibilità di produrre prole resistente in ambienti con agenti patogeni frequenti e sufficientemente virulenti.
Certo, nessuna delle analisi, da sola, fornisce un supporto conclusivo all’ipotesi che la frequenza dei lupi neri nel Nord America sia determinata dalla frequenza delle epidemie di CDV, ma ogni elemento a sostegno, separato e complementare, fornisce supporto a tale teoria.
Dunque un sottoprodotto accidentale della variazione genetica nel locus K, cioè la variazione del colore del mantello, diventa un segnale di resistenza a un agente patogeno e la selezione sessuale opera su questo segnale accidentale per modellare il comportamento del lupo nella scelta del partner….

Un motivo in più per continuare a sorprenderci delle meravigliose risorse che la natura sa mettere in atto per garantire il perdurare della vita sul nostro pianeta!

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