Più armi, meno lupi: Europa alla rovescia

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Di Brunella Pernigotti

Quando un lupo uccise Dolly, il pony appartenente alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel settembre 2022, i vecchi oppositori dei lupi balzarono fuori dalla naftalina e iniziarono i loro lamenti ripetendo che i lupi sono un male per l’attività agricola.
Il 4 settembre 2023, la von der Leyen iniziò la sua campagna anti-lupo esortando le autorità locali e nazionali ad agire entro le deroghe esistenti alle leggi sulla protezione della fauna selvatica che consentono di uccidere singoli lupi quando diventano un pericolo per il bestiame o gli esseri umani.
Poco dopo, in Svizzera (dove la protezione che ha consentito il loro ritorno è stata ratificata più di 40 anni fa), nonostante tutte le motivazioni contrarie, basate su prove scientifiche ed economiche, i politici si sono inchinati agli allevatori e hanno approvato un abbattimento per ridurre i 32 branchi stimati nel suo territorio a soli 12.
Da marzo 2025, l’UE ha allentato la protezione sul lupo europeo da “strettamente protetto” a “protetto”, il che significa che se i lupi sono percepiti come una minaccia per le comunità rurali, gli stati possono organizzare abbattimenti.
Che cosa sta accadendo? In Europa pare stiano soffiando venti reazionari, medioevali e intrisi di totale ignoranza. Non vengono prese in considerazione le miriadi di ricerche scientifiche che continuano ad affermare l’utilità etologica e biologica di una sana catena trofica, in cui prede e predatori si equilibrano senza alcun bisogno di interventi umani, che tra l’altro sono sempre dannosi e deleteri. Non vengono ascoltati i biologi che come cassandre continuano ad affermare che aprire la caccia al lupo significa aprire scenari di perdita di biodiversità e di estinzione di specie-chiave per la sopravvivenza anche dell’umanità. La Commissione europea, non votata da nessuno, procede come un carro armato nelle sue dichiarazioni di guerra contro la natura selvatica e la sua stessa cittadinanza.
Un caso di cronaca del 2023, passato quasi inosservato e avvenuto nei pressi di Cocullo, nell’Italia centrale dimostra quanto sia facile uccidere i lupi quando non c’è abbastanza controllo e si lascia che coloro che sono stati danneggiati nella propria attività si facciano giustizia da soli.
Un intero branco di 9 esemplari venne trovato morto: i lupi erano chiusi in sacchi neri, abbandonati in montagna e nei pressi vennero trovati anche tre grifoni e due corvi, tutti morti avvelenati. Tra i lupi c’era anche una femmina incinta e alcuni giovani. Le esche avvelenate, si sa, creano una successione di morti, diffondendosi attraverso intere catene alimentari e contaminando terra e acqua per anni.
Molti altri casi di uccisioni illegali, conosciuti o meno, si verificano ogni anno ai danni della fauna selvatica: oltre il 30% della popolazione italiana di lupi muore ogni anno per mano umana. Il declassamento del suo status da altamente protetto a protetto aprirà senza dubbio le maglie dei controlli e creerà dei vuoti giuridici di cui approfitteranno sempre più coloro che compiono atti di bracconaggio, che già ora restano spesso impuniti.
Mi sembra che l’Unione Europea si comporti come un pigro e ignavo Ponzio Pilato: invece di affrontare i conflitti che ovviamente esistono tra lupi e natura selvatica da una parte e attività umane dall’altra, invece di stanziare risorse economiche e strategiche per aiutare il settore dell’allevamento, già in crisi di per sé, decide di chiudere tutti e due gli occhi e lasciare ampio spazio di manovra ai partiti e alle lobby della caccia e che la gente se la sbrogli da sola, libera di risolvere i problemi con metodi spicci e dannosi per il futuro di tutti.

Il naturalista americano del XX secolo Aldo Leopold, uno dei primi sostenitori della necessità di ripristinare i lupi nel Parco nazionale di Yellowstone, ne comprese il ruolo fondamentale. Egli ebbe una sorta di rivelazione quando si avvicinò a un lupo a cui aveva sparato mentre lavorava come funzionario addetto al controllo dei predatori per il governo, in una fase iniziale della sua carriera. “Raggiungemmo la vecchia lupa in tempo per vedere un fiero fuoco verde spegnersi nei suoi occhi”, scrisse nel suo libro del 1949, A Sand County Almanac. “Mi resi conto allora, e lo so da allora, che c’era qualcosa che non avevo mai visto in quegli occhi, qualcosa di noto solo a lei e alla montagna. Ero giovane, allora, ed entusiasta cacciatore; pensavo che se avere meno lupi in montagna significava avere più cervi, la scomparsa del lupo avrebbe significato un paradiso per i cacciatori”. Ma, concluse, “Una montagna del genere apparirebbe come se qualcuno avesse dato a Dio delle nuove cesoie da potatura, e gli avesse proibito ogni altro esercizio […]
Se volete un’illustrazione di come appare un paesaggio senza lupi, fate una passeggiata nella campagna britannica, ci raccomanda Debbie Graham, autrice di un articolo del 5 giugno 2024 su Discover Wildlife: “Nei nostri boschi e piantagioni di conifere in linee scure e rigide, mandrie sempre crescenti di cervi asiatici o mediterranei si uniscono ai nostri cervi rossi e caprioli autoctoni per strappare le semine e i fiori dal suolo della foresta”.
Altrove, in cose chiamate campi, sequestrati da strutture come recinti o siepi, pecore a milioni e milioni tosano la terra nuda. Sulle nostre montagne, i vecchi muri a secco eretti da ogni cultura contadina per contenere le orde belanti sono spesso caduti in rovina e, di conseguenza, gli animali vagano liberi.
Una volta compresa la natura di questo impatto, ci si rende conto che è travolgente. Meno piantine di alberi, meno arbusti, meno erbe, meno muschi, meno torbiere. E così, come una cometa che cade, il numero di creature che dipendono da queste piante e habitat precipita nell’oblio.
Una comunità in crescita che capisce che la Gran Bretagna è una delle nazioni più povere di natura del pianeta vuole agire. Film, documentari, articoli di ricerca e resoconti mediatici favorevoli hanno presentato negli ultimi anni un caso ben ragionato per il ripristino del lupo. La vita nelle foreste verrebbe rigenerata se i cervi diminuissero e i pascoli diventerebbero più favorevoli alla fauna selvatica molto rapidamente se le pecore venissero rimosse o ridotte. […]” How wolves were driven to extinction in Britain – and why their return would help heal the landscape – Discover Wildlife Wolves in Britain: history, extinction and reintroduction”.
In Gran Bretagna, come in altri luoghi anche a noi più vicini come per esempio la Sicilia, i lupi furono sterminati e mai più recuperati, con conseguente depauperamento dell’habitat naturale in cui vivevano come specie autoctona e con pieno diritto di esistere. Ora si sta assistendo al generale pentimento e rimpianto tipico delle cose perdute. Possibile che non si capisca che l’equilibrio naturale è un filo sottile su cui dobbiamo per forza imparare a camminare? Il classico orgoglio per le tipicità dei nostri luoghi dove finisce quando parliamo di specie animali? In Italia abbiamo un patrimonio inestimabile non solo dal punto di vista storico e architettonico, ma anche naturalistico. Già solo considerando lupi e orsi, il nostro territorio ospita specie uniche al mondo, da tutelare tanto quanto il panda gigante o il koala. Il Canis lupus italicus e l’Ursus arctus marsicanus sono sottospecie tipiche e irripetibili. E lasciamo che vengano gestite da una politica sorda agli appelli degli scienziati ma attenta alle richieste di chi vuole speculare e guadagnare facilmente?
Ultimamente, poi, attirano attenzione e vendite titoli altisonanti di un giornalismo servile e meschino in cui si strillano allarmi infondati di lupi che potrebbero aggredire le persone e soprattutto i bambini… Un vero orrore! … Invece le armi e le bombe che allegramente stanno cercando di convincerci che bisogna costruire per alimentare il fuoco della guerra, quelle forse salvano i bambini?
Riflettiamo e prendiamo una posizione, prima che sia troppo tardi.

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