Lupi e bracconaggio

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Cristina Panzeri, giornalista per passione (Ca.Re.), intervista Antonio Iannibelli (Italianwildwolf).

Nei nostri intenti c’è la volontà di confrontarci e intrecciarci con altre realtà che come noi vogliono promuovere una informazione corretta sui grandi carnivori e promuovere la coesistenza.
Vi sono alcune tematiche trasversali e sovra territoriali: tra queste il bracconaggio, una piaga che in Italia sta assumendo proporzioni ingenti e fuori controllo e di cui la Lombardia non è certo esente.
Dalla combinazione di questi due obiettivi è nato l’incontro con Antonio Iannibelli del gruppo di ricerca Italianwildwolf, l’occasione comune è stata la manifestazione “Cacciamo la caccia!” che si è tenuta a Roma il 13 settembre scorso.
Di Italianwildwolf.it è anche la pagina facebook “Lupi morti in Italia” che riporta, ormai quasi quotidianamente, l’elenco degli esemplari e le probabili cause di mortalità dei lupi ritrovati morti in tutta Italia.

Questa è l’intervista che Antonio ci ha gentilmente rilasciato:

Si tace perché fa comodo

Giornalista: Ciao Antonio e un grazie particolare: quando si tratta di tutela dei lupi le tematiche sono molteplici, spesso ridondanti, a volte del tutto inefficaci. In tutto ciò, il bracconaggio è un argomento nascosto e anche quando i lupi vengono rinvenuti uccisi non si apre una vera discussione: alle dichiarazioni di condanna delle associazioni ambientaliste, mai veramente fatte proprie dalle istituzioni, segue nuovamente il silenzio.
La prima domanda che ti rivolgiamo è proprio questa: perché sul bracconaggio si tace?

Antonio: Difficile per me rispondere, però qualche idea me la sono fatta. Si tace perché fa comodo. Il bracconaggio è una scomoda verità che rivela l’inefficacia, o la volontaria assenza, dei controlli e della volontà politica. Non esistono dati ufficiali e completi, solo stime approssimative a livello nazionale sul bracconaggio. Questo non significa che non esista, ma che non lo si vuole monitorare seriamente. Come si può affrontare un problema se non si conoscono le sue reali dimensioni? La mancanza di dati diventa una scusa per non intervenire.
Il silenzio è spesso funzionale a interessi specifici (mondo venatorio, alcune frange di allevatori). Riconoscere l’entità del bracconaggio significherebbe ammettere una problematica diffusa all’interno di settori che la politica non vuole scontentare per ragioni di consenso.
Ammettere il bracconaggio significa ammettere il fallimento delle politiche di prevenzione e gestione.
Ma le conseguenze del silenzio sono gravi: il silenzio incoraggia ulteriormente chi pratica il bracconaggio, sentendosi impunito; mina la credibilità delle istituzioni che dovrebbero tutelare la fauna; rende inefficace qualsiasi dibattito o misura di tutela, perché manca la base di conoscenza e la volontà di agire.
Nonostante il silenzio ufficiale, la realtà sul campo, che noi monitoriamo, è ben diversa e mostra un fenomeno drammaticamente diffuso come descrivo nel mio articolo provocatoriamente: “Mille lupi muoiono ogni anno.

Mille lupi muoiono ogni anno

Giornalista: Non esistono dati ufficiali del fenomeno in Italia, bensì stime e, appunto, nel vostro articolo https://italianwildwolf.com/2023/12/04/mille-lupi-muoiono-ogni-anno-per-mano-delluomo bracconaggio e avvelenamenti sono stimati rappresentare il 30% delle cause di mortalità. Regione Piemonte tiene un conteggio piuttosto preciso dei lupi rinvenuti morti, ma pare essere un’eccezione.
Un monitoraggio di questo tipo non dovrebbe essere già obbligatorio dal punto di vista normativo?

Antonio: Questa è la domanda centrale: la mancanza di dati ufficiali e un monitoraggio nazionale costante rende impossibile prendere decisioni efficaci. Quando si parla di abbattimenti autorizzati del 3-5% della popolazione, su quali numeri ci si basa? Sappiamo solo che le stime indicano che bracconaggio e avvelenamenti causano tante morti innocenti. Nel mio articolo faccio delle ipotesi che personalmente ritengo molto vicine alla realtà dei fatti.
Il mio lavoro sul campo mi ha mostrato una realtà preoccupante: le famiglie di lupi che vivono in ambienti più adatti, come gli Appennini, hanno una popolazione abbastanza stabile. Al contrario, nelle aree vicino alle attività umane e nei territori fortemente industrializzate come la Pianura Padana o gran parte della Puglia, la riproduzione è precaria e pochi cuccioli raggiungono la maturità.
Questo dimostra che il lupo è già sotto una forte pressione e che servirebbero controlli più severi e dati affidabili, non abbattimenti legali che rischiano solo di incentivare il bracconaggio e confondere le acque.

La politica contro la scienza
Giornalista: Si sono concretizzati recentemente in Italia i primi provvedimenti di abbattimento in deroga: in Alto Adige un lupo maschio è già stato ucciso, mentre in Trentino il corpo forestale è attualmente alla caccia di due lupi condannati a morte. Ciò sulla base di quote di prelievo che Ispra ha comunicato ad ogni Regione. Eppure, in Alto Adige un lupo è stato avvelenato a maggio e in Trentino quattro avvelenati a febbraio: i lupi bracconati, o meglio morti per cause non naturali, dovrebbero essere scomputati dalle quote di prelievo, ma così non è stato. Ispra ha dichiarato “Si potrà aprire una riflessione nel momento in cui arriveranno dati preoccupanti sul bracconaggio”, riferendo che i dati sugli abbattimenti illegali non sono sempre aggiornati e accurati, ma riconoscendo contestualmente, che l’uccisione di animali per opera dell’uomo è in aumento in tutta Italia.
Se la questione cruciale è il monitoraggio, ma le istituzioni, le Regioni in particolare, non hanno alcun interesse a condurlo, come se ne esce?

Antonio: Purtroppo, siamo in un vicolo cieco: le decisioni sugli abbattimenti non sono basate su dati scientifici, ma su interessi politici che ignorano la scienza, la volontà popolare e persino la nostra Costituzione. Gli abbattimenti in corso in Alto Adige e Trentino sono un esempio di questa irrazionalità. Sono da considerarsi illegali per tre motivi fondamentali:

  1. La prevenzione dei conflitti è quasi assente: nelle due malghe oggetto di predazioni le misure di prevenzione dei danni erano inesistenti o non funzionanti.
  2. Non esistono dati certi sulla popolazione di lupi, in modo particolare in Alto Adige.
  3. Uccidere lupi a caso non risolve il problema, ma anzi lo amplifica. Il contenimento di un animale così mobile non può essere gestito a livello locale, ma solo a scala europea.
    Si aggiunga la mancanza di dati, che è mancanza di volontà. La scienza è chiara: non si possono risolvere i conflitti senza prima conoscerne le cause e avere dati per analizzarli. Se le istituzioni non hanno interesse a monitorare la situazione, non possiamo sapere l’andamento reale della popolazione. Chi lavora sul campo sa che la “guerra” contro il lupo è già in atto e le uccisioni, legali e illegali, sono all’ordine del giorno. Molti casi, specialmente quelli di avvelenamento, non vengono neanche alla luce.
    Le leggi italiane e le direttive europee prevedono la possibilità di prelievi in deroga, ma solo in presenza di dati certi e dopo aver attuato la prevenzione. Finora, questo non è mai stato fatto proprio perché mancano le condizioni necessarie.
    Oggi siamo esattamente nella stessa situazione: in assenza di dati e prevenzione, non si può autorizzare nessun abbattimento.

Gli abbattimenti non frenano il bracconaggio

Giornalista: Riprendendo il tema abbattimenti: correnti di pensiero, anche tra alcuni esperti, ritengono che contribuiscono a limitare il fenomeno del bracconaggio, perché le autorità si sostituiscono ai cittadini e gli animali uccisi placano la rabbia, meglio la sete di vendetta. Tuttavia in Svizzera, che noi di Ca.Re. monitoriamo da vicino, dato che una parte dei lupi oggetto delle loro regolazioni erano e sono transfrontalieri, pochi giorni fa è stato rinvenuto un lupo bracconato, nonostante gli abbattimenti preventivi e consistenti.
Qual è la tua opinione in proposito?

Antonio: L’idea che gli abbattimenti legali possano limitare il bracconaggio è un’illusione pericolosa. Al contrario, il mio parere è che questa pratica favorisca il bracconaggio e rappresenti un palese fallimento dei controlli e della prevenzione.
Il caso della Svizzera è emblematico: nonostante un approccio estremamente aggressivo agli abbattimenti, inclusa la proposta di uccidere la maggior parte dei cuccioli, il bracconaggio persiste, come dimostra il recente ritrovamento di un lupo bracconato. Questo accanimento ha causato anche l’uccisione accidentale di altre specie protette, come le linci, e non ha portato a una riduzione delle predazioni sul bestiame, né ha diminuito incidenti stradali o altri atti di bracconaggio.
Il modello svizzero, che sta forzando ogni regola con l’obiettivo di “regolare” la popolazione di lupi, non solo non funziona, ma mette a rischio di estinzione il lupo dal loro territorio. Questa dovrebbe essere una chiara lezione per l’Italia: non si può combattere il bracconaggio legalizzandone una parte.

La politica sacrifica la fauna per voti

Giornalista: Tra le autorità che dovrebbero essere in prima linea nella lotta al bracconaggio quelle giudiziarie rivestono un ruolo importante: pur riconoscendo la concreta difficoltà di costruire castelli accusatori da parte degli inquirenti, dato che i casi di flagranza di reato sono rari, giungere a condanne esemplari varrebbe come monito. Tuttavia, nei pochi procedimenti aperti è quasi sempre la richiesta di archiviazione a prevalere e solo la caparbia opposizione delle associazioni ambientaliste riesce, a volte, a far proseguire i processi: lo abbiamo visto recentemente anche per il caso dell’uccisione dell’orsa F36, che ci concerne, dato che uno degli imputati è lombardo. Inoltre, l’inasprimento delle pene per la violenza sugli animali entrato in vigore da poco ha escluso la fauna selvatica.
L’impressione è di una generale, scarsa sensibilità della popolazione verso gli animali selvatici, ancor più di una regressione sui temi ambientali: non per nulla siamo qui oggi a manifestare contro la liberalizzazione della caccia.
Quali credi siano le ragioni alla base di questa indifferenza e come ritieni si possa promuovere una inversione di tendenza?

Antonio: La radice del problema è sempre la stessa: la politica, che sacrifica la fauna per voti. Per accaparrarsi quelli di cacciatori, armieri e allevatori, la classe politica si lascia influenzare da richieste sconsiderate. Questo porta a non investire sulla prevenzione e a indebolire la vigilanza venatoria.
Le recenti modifiche alla legge 157, ben tredici, stanno legalizzando pratiche che prima erano considerate bracconaggio. Basti pensare all’ultima modifica del DDL “Montagna”, che apre la caccia sulle rotte migratorie più importanti dei valichi alpini.
Non è indifferenza, bensì disprezzo della volontà popolare. Non credo affatto che ci sia una scarsa sensibilità della popolazione. Al contrario, i giovani e la maggior parte dei cittadini italiani ed europei sono per la tutela dell’ambiente. Lo abbiamo dimostrato con le indagini sul declassamento del lupo, dove oltre il 70% della popolazione si è dichiarata contraria a questa misura. Il vero problema è che la politica – spesso rappresentata da decisori ultrasessantenni – ignora volutamente la volontà popolare. Questa miopia dimostra l’incapacità di investire per il futuro e rappresenta un fallimento politico.
È paradossale che molti di questi politici siano gli stessi che, nel 2022, hanno votato la modifica della Carta Costituzionale introducendo la tutela dell’ambiente e della biodiversità negli articoli 9 e 41, e poi agiscono in totale contraddizione con questi principi.

Bracconaggio, caccia e allevamento
Giornalista: I procedimenti penali conclusi con condanne per bracconaggio in Italia sono davvero troppo pochi. Tuttavia, ne emerge un dato che è impossibile non evidenziare: il coinvolgimento di cacciatori, ex cacciatori e allevatori.
Sono casi o è la spia, che il bracconaggio trova le sue radici nel mondo della caccia e dell’allevamento?

Antonio: Purtroppo, è un dato di fatto: in buona parte, il bracconaggio ha le sue radici proprio tra le file dei cacciatori e, per estensione, anche di molti allevatori.
Le sentenze lo dimostrano: la stragrande maggioranza degli animali uccisi con armi da fuoco e una parte consistente degli avvelenamenti sono riconducibili a questo ambito. Non potrebbe essere altrimenti, data la disponibilità di mezzi e conoscenze.
Sebbene sia sempre sbagliato generalizzare un’intera categoria, è altrettanto innegabile che molti allevatori e agricoltori sono anche cacciatori, o si avvalgono della collaborazione di amici cacciatori. Questa dinamica è particolarmente evidente quando si parla della persecuzione dei grandi carnivori, come il lupo. Si tratta di un fenomeno complesso, ma i dati e l’esperienza sul campo ci indicano chiaramente dove cercare le cause principali.

Una piaga legalizzata e sotto controllata
Giornalista: La fauna selvatica è un bene di tutti, ma il controllo del territorio per tutelarla è sempre meno efficace, complice il depotenziamento dell’ex Corpo Forestale e delle Polizie Provinciali.
La domanda più difficile: come si combatte il bracconaggio e perché in Italia in particolare è una piaga così diffusa?

Antonio: La fauna selvatica è un bene comune, ma in Italia viene costantemente barattata per gli interessi di pochi. La lotta al bracconaggio è sempre più inefficace, non solo per il depotenziamento del Corpo Forestale e delle Polizie Provinciali, ma perché il problema viene affrontato con un approccio miope e dannoso.
Come si combatte il bracconaggio? Si combatte in primo luogo smettendo di legalizzarlo. Oggi, invece di controllarlo, assistiamo a un processo di “legalizzazione” di pratiche venatorie sempre più aggressive, attraverso modifiche normative che smantellano anni di tutela. E smettendo di alimentare un irrazionale allarmismo con proclami di matrice politica, amplificati all’infinito da media in cerca di facili visualizzazioni.
Perché è una piaga così diffusa in Italia? È diffusa perché i controlli vengono sistematicamente indeboliti da anni. Dal governo Renzi in poi, la riduzione della vigilanza è una costante. Addirittura, recenti proposte di questo governo miravano a togliere la vigilanza venatoria alle guardie volontarie – un tentativo che è stato bloccato, ma che sicuramente verrà riproposto.
In sintesi, il bracconaggio prospera in un clima di disattenzione istituzionale, di leggi che aprono sempre più spazi e di controlli insufficienti e di disinformazione. È una guerra aperta contro l’ambiente, dove impegni per invertire la rotta vengono regolarmente ignorati, e anzi, assistiamo a un’accelerazione della distruzione di habitat, consumo di suolo e inquinamento.

Scienza e consapevolezza per un bene indispensabile
Giornalista: Nessun animale è mai stato più esecrato del lupo: le ragioni sono molteplici e richiedono un excursus storico che non è questa la sede per condurre. Il 27 e 28 settembre si terrà la Festa del Lupo, da voi organizzata, con un programma di conferenze davvero eccellente.
Antonio: perché il lupo, in particolare il Canis lupus italicus, va difeso ad ogni costo?

Antonio: Perché conoscere il suo ruolo naturale nell’ecosistema è il primo, fondamentale passo per capire che senza lupi avremmo un disastro ambientale che metterebbe in discussione la nostra stessa esistenza. Sono un indicatore cruciale della salute del nostro ambiente. Non dimentichiamo che il Canis lupus italicus è una sottospecie unica al mondo, un vero e proprio tesoro di biodiversità italiana, frutto di millenni di evoluzione nel nostro territorio. La sua conservazione non è solo un dovere ecologico, ma anche culturale.
La Festa del lupo, giunta ormai alla sua ottava edizione, è un evento scientifico che ho ideato molti anni fa con alcuni amici lungimiranti. Il nostro obiettivo primario è duplice: fare corretta informazione sul lupo e far emergere quelle verità nascoste che spesso vengono ignorate o distorte: scienza e consapevolezza per un bene indispensabile.
Per garantire la massima trasparenza e autenticità, la Festa del Lupo viene realizzata senza finanziamenti pubblici e senza alcuna affiliazione politica. È proprio grazie a questa indipendenza che possiamo contare sulla partecipazione entusiasta di numerosi scienziati, studiosi e ricercatori di livello nazionale, che accettano di contribuire, anche a loro spese, con i loro preziosi lavori scientifici.
Approfitto per ricordare che l’evento è completamente gratuito e per partecipare è sufficiente iscriversi online a questo link: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-festa-del-lupo-2025-1343576606799.

Giornalista: Ringraziamo Antonio Iannibelli per aver voluto condividere con noi le riflessioni su un tema tanto importante e per il manifesto che ci ha gentilmente autorizzato a pubblicare.
L’appuntamento per tutti è alla Festa del Lupo 2025 dove approfondiremo anche questi argomenti:
https://italianwildwolf.com/2025/06/07/festa-del-lupo-2025/

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