Si è conclusa con grande successo la prima festa del lupo che ha visto la partecipazione di centinaia di visitatori arrivati da tutti Italia. Questa bella occasione ci ha dato la possibilità di dare un’informazione “corretta” sul lupo, abbiamo potuto parlare soprattutto alla gente comune e ai bambini che hanno tanta voglia di conoscere. Molte le firme e i complimenti e tanti gli interessati che si sono aggiunti al gruppo “Amici del lupo”. Ringraziamo per tanto il Comune di Gaggio Montano, la Regione Emilia Romagna, i Gruppi organizzatori (Gente di Gaggio e Provediemozioni) e tutti coloro che hanno donato gratuitamente il proprio tempo libero, in particolare Maria Perrone, Stefano Polliotto, Marco Galaverni, Adelfo e Margherita Cecchelli. Ma vogliamo ringraziare tutti i gaggesi per la grande ospitalità che ci hanno riservato.
Oltre alla mostra e alle iniziative che si sono svolte in biblioteca abbiamo fatto due escursioni sui sentieri dei lupi al Corno alle Scale e al Parco dei due laghi, vi sono stati numerosi partecipanti che hanno potuto godere di un panorama spettacolare e osservare le tracce evidenti dei lupi appenninici.
Anche la mostra fotografica ha avuto un grande successo ed è stata visitata da tante persone curiosi di vedere un vero lupo. Grazie alla sensibilita’ degli insegnanti delle scuole di Gaggio Montano e paesi limitrofi gli alunni sono stati graditi ospiti degli incontri e della mostra.
Pienamente raggiunti gli obbiettivi che ci eravamo proposti, aspettiamo anche i vostri commenti e consigli con la speranza di rivederci alla SECONDA FESTA DEL LUPO che si terrà a novembre 2010. Intanto i lupi ringraziano.
Ma lascio la parola allo scrittore Stefano Santarsiere per la sua affascinante descrizione:
Due giorni interamente dedicati al vero lupo, foto, video, disegni e ricerca sul campo per una grande festa
(di Stefano Santarsiere)
Avevano l’aria di miniature in antichi manoscritti. Nei loro occhi penetranti recavano la vita e la morte dei tempi più duri. Il passo felpato nella neve traghettava le loro ombre verso recessi di bosco fitto. Se si giravano un momento, era solo per assicurarsi di essere soli: e una volta scomparsi non sono più riemersi. Per decenni e secoli non li abbiamo più visti, come se la loro ambiguità si fosse trasformata in leggenda, e la loro esistenza in diceria.
Che emozione vederli in vita. Veri come ogni altra creatura della natura, oggi. Sapere che tracciano sentieri sconosciuti nel nostro Appennino, sapere che stanno a guardia delle quotidiane tragedie che spezzano la vita errabonda di cinghiali, daini, caprioli. Antonio dice che i lupi sono gli spazzini del bosco, a me piace pensare che diano senso a ciò che temiamo di più, la morte. Un obbiettivo che gli esseri umani sono ben lontani dal conseguire. Millenni di pensiero filosofico, ed ecco che una creatura del bosco ti insegna a cosa serve morire.
In natura, il lupo è come un tassello che tiene in piedi il mondo. I suoi rastrellamenti si rivolgono agli esemplari morti, inutili, di troppo. La sua voracità è controllo, equilibrio. I branchi di lupi sono la leva che toglie il di più, che assicura l’equa distribuzione delle risorse. Chi sopravvive al lupo sopravvive all’inverno, alla siccità e alla carenza di cibo.
Anche se è novembre e fa freddo, alle sei di sera la biblioteca di Gaggio Montano è gremita. Molti amici di Antonio e Maria sono venuti fin qui per una festa del lupo che è soprattutto celebrazione della natura. Dove vive il lupo, si ripete, la natura è nelle condizioni migliori. Il bravo Marco Galaverni, ricercatore della Facoltà di Scienze Naturali dell’Università di Bologna, ci mostra il lavoro della sua tesi di laurea, che poi consiste in un bellissimo documentario sulla vita e le abitudini del canis lupus. Divulgazione pura, notizie sulle caratteristiche, l’alimentazione, le minacce e le opportunità del protagonista per antonomasia delle favole nostrane. Solo che questa non è una favola; qui il lupo si vede, vive e soffre in barba alle paturnie dell’uomo. Marco è appassionato. Unisce gioventù e competenza, il massimo per chi vuol lasciarsi convincere. E io voglio proprio vedere se il lupo, stasera, può stimolare il fondo campagnolo del mio animo, forse sopito da anni e anni di città.
Il suo documentario è fin troppo perfetto. Mi ricorda una vera trasmissione televisiva e questo genera una distanza in cui l’emozione un po’ svanisce.
Il video di Stefano Polliotto, invece, è occhio avventuroso nascosto tra le pietre, proprio in mezzo alle Alpi piemontesi. Il camoscio è a un centimetro dal mio naso. Il cielo profondo schiaccia quell’occhio su un suolo di muschio. Le polle frizzanti sciabordano tutt’intorno e laghi di neve si asciugano, lasciando il posto a campi di fiori e pollini. Gli alberi mettono fronde e in seguito, col passare della stagione, si spogliano e s’intirizziscono di nuovo.
La vita del branco si snoda in questo scenario incredibile. I lupi sono proprio davanti a me, mi pare di accompagnarli ovunque, nel peregrinare della caccia come nei momenti di riposo vicino alle tane. A tratti subisco più la durezza che il fascino di quest’esistenza grama, proprio come deve succedere a quelle creature.
Stefano Polliotto è un uomo che avrebbe potuto vivere tranquillamente senza il resto del genere umano, fatta eccezione per la bella Ethel, sua moglie. E’ una frusta di nervi e muscoli, silenzioso, con gli occhi rivolti verso una meta che non ti è affatto chiara fin quando non lo vedi issare lo zaino e partire: allora capisci, la meta è in alto. Molto in alto. Verso qualche cima aspra e sicuramente dove tu non ti sogneresti di andare. E’ lassù che Stefano porta la sua videocamera HD per catturare i segreti dei suoi amici. Ethel lo segue a passo svelto, chiacchierando anche per lui.
E’ in loro compagnia, oltre che con Antonio, Maria e una quantità di altri amici, che partiamo di buon mattino verso il Corno alle Scale per un improbabile incontro con il lupo. Ma basta questa idea, appena sussurrata da qualcuno e appannata dal freddo, per riempirci di entusiasmo. Battiamo i piedi e sfreghiamo le mani nella piazza del paese e intanto immaginiamo come potrebbe essere l’incontro. Occhi umani che fissano occhi canini. Un istante fuggevole, poi la coda guizza e lo spirito si dissolve. L’emozione che resta per sempre. Chissà.
Saliamo aiutandoci con le mani lungo un viottolo sottile e sdrucciolevole come una biscia, di fianco al ruscello che scende dalla cima innevata e che andrà a formare a valle le cascate del Dardagna. La terra zuppa cede sotto gli scarponi, in breve diventiamo silenziosi e ansimanti tra i rami bassi. I ragazzi di Roma hanno smesso di fare gli spiritosi. Stefano è davanti a me e restargli attaccato è una bella sfida. Alla radura della prima sosta ci rianimiamo tutti. La fatica si è fatta sentire e abbiamo anche un po’ di caldo; si scattano foto, ricominciano le spiritosaggini. Nessuno di noi cittadini è consapevole che ci attendono salite ripide e rasoiate di vento. La meta si chiama ‘La nuda’: un punto a un’altitudine vertiginosa dove forse il lupo è già in attesa, vigile, che ci scruta perplesso.
E allora riprendiamo la marcia. Uomini e donne del terzo millennio che arrancano sulla terra ghiacciata, i polmoni che fanno a tempo a riempirsi solo per metà, che sollevano gli occhi solo per il desiderio di essere già arrivati. Immagino il lupo, che nella sua saggezza ancestrale si chiede semplicemente: perché? Che sia tornato il medioevo?
Ma tutto si può dire di noi meno che siamo minacciosi.
Può il lupo sorridere?
Un’altra sosta la facciamo su un crinale spazzato da raffiche gelide. La nuvolaglia si stringe intorno a noi come incuriosita da queste figure precarie. La visibilità non aiuta, ma almeno stimola la mia fantasia. Il lupo immaginario se ne sta a trenta metri da noi, sicuro di essere invisibile ai nostri sguardi, e forse decide di farci il regalo che troveremo fra poco. Un regalo intriso di ironia verso l’eterno nemico umano, che oggi mendica un incontro impossibile. Ai lupi non interessa fumare il calumet della pace.
Antonio è andato avanti con Stefano ma ora sta tornando indietro. Lo vedo sbucare dalla nebbia con un sorrisone.
L’annuncio parrebbe uno scherzo, se non fossimo già un po’ meno cittadini e un po’ più dei provetti naturalisti. Nel bel mezzo del sentiero c’è un escremento di lupo. A giudicare dall’aspetto, il responsabile è transitato un minuto prima. In breve formiamo un capannello intorno al reperto che bersagliamo di fotografie. Scatto anch’io, poi ci penso su e osservo i miei compagni.
Ancora una volta mi viene in mente il lupo immaginario. Forse a questo punto è più spaventato che perplesso.
Ma tant’è. La creatura non si è fatta vedere, però ha testimoniato la sua presenza in un modo inequivocabile. In questi tempi sbandati può anche bastare. In un mondo dove l’esistenza ha bisogno di affermarsi attraverso i manifesti e le immagini televisive, un’autentica cacca di lupo è come una rivelazione. Ed è così vera da sembrare virtuale.
I grandi ciuffi gialli di erba sono ibernati nel ghiaccio. Il freddo è pungente più di prima e dopo la foto di gruppo sulla vetta decidiamo di scendere a valle. Talmente di corsa che alcuni di noi incappano in qualche caduta senza conseguenze. Raggiungiamo il sagrato del santuario della Madonna dell’Acero, crocevia di pellegrini ed escursionisti all’ombra della montagna, dove ci rifocilliamo e riflettiamo sull’avventura. Guardo un’ultima volta verso le cime che abbiamo visitato e mi sembra di vedere il lupo che se ne va, a raccontare al suo branco di aver fatto una battuta solitaria e di non aver incontrato nessuno. Proprio nessuno.
Il pomeriggio trascorre ciondolando per le strade di questo magnifico paese. Gaggio Montano è un luogo che potrebbe rappresentare l’incontro ideale tra uomo e natura, un borgo che s’inchina di buona grazia alla montagna come un vecchio signore in contemplazione. Mi piace la gente che incontro, che sorride senza sforzo. Mi piace Adelfo Cecchelli, gentiluomo al pari della sua Gaggio, delizioso concentrato di affabilità e vigoria.
Le porte della biblioteca si aprono di nuovo. Visitatori affollano la stanza dedicata alla mostra fotografica di Antonio. Sono queste foto che mi dimostrano, forse più dei documenti filmati, la presenza di questa creatura intorno a noi. Sarà che ho confidenza con il loro autore, sarà che il particolare dinamismo delle foto stuzzica l’immaginazione, ma è in esse che sento davvero ululare il lupo. E dal canto suo, l’ambiente appenninico è un contesto familiare che rende le apparizioni più credibili e vicine.
Una parte di questi scatti viene proiettata nello slideshow di Antonio, dal titolo ‘Conoscere il lupo’, al quale segue la sua conferenza. Parla l’autodidatta che ha accumulato un’esperienza che i cattedratici possono soltanto immaginare. Parla l’uomo nato nel bosco, che ha saputo valorizzare il suo amore per l’ambiente diventando un fotografo naturalista di prim’ordine. Parla il lucano che alla bontà d’animo dei suoi conterranei unisce un atteggiamento operoso e mai dolente. Il ritratto del suo animale preferito è frutto di osservazioni dirette e ricerche sul campo. Non puoi dubitare di nessuna parola, la passione per il lupo ti investe in pieno, ti incanta. Ti sembra di apprendere ogni cosa necessaria sulle tracce, sui segni della presenza dell’animale, e ti viene voglia di andare a cercarlo per conto tuo. Ogni escursione può regalare un avvistamento. Ogni battuta di caccia fotografica può produrre decine di immagini come quelle di Antonio.
Il mio lupo immaginario mi riporta alla realtà: amico, è già tanto se ti concedo un escremento peloso lungo il sentiero. E allora mi accontento della cartolina ricordo che Antonio ha fatto stampare per tutti noi: un cucciolo di lupo a figura intera che marcia nell’erba.
Resta concludere questa fantastica giornata a cena, tutti insieme, e per una volta i lupi dovremmo essere noi. Ma se penso al mio lupo che ci osserva mangiare le magre porzioni nei piatti bianchi, lo vedo nitidamente scuotere il capoccione in segno di compatimento…
Il mattino successivo ci accoglie con un bel sole. L’escursione odierna è ai laghi di Suviana e Brasimone, territorio di un branco capeggiato da un esemplare nero che è la leggenda degli appassionati. Le poche foto che circolano di lui rivelano un’icona fiera e inquietante che si staglia nel bianco della neve, alla luce di un’alba. Partiamo, ma oggi lo spirito non è quello dei cacciatori di rarità faunistiche. E’ piuttosto quello di svagati turisti della montagna. La giornata è quasi primaverile e l’atmosfera suggerisce relax e soste frequenti. Il gruppo è talmente ciarliero che perfino il mio lupo personale si tiene alla larga dai pensieri. Fortuna che Antonio sollecita la nostra attenzione indicando alberi, specie vegetali, fiori, e parlandoci degli animali che vivono in zona.
E tra queste erbe, questi alberi che si appressano lungo la riva del lago, mi sembra di ascoltare i richiami del passato, sento che il mondo potrebbe ritornare agli antichi e incontaminati splendori. In un’epoca antecedente a quell’avidità che ha spinto l’uomo a prendere tutto l’esistente nelle sue braccia, al punto di ritrovarci dentro anche la morte.
Mi trastullo con questo pensiero per tutta la mattina, aggiungendo illusione a illusione, aspettando solo che si levi, solenne come un’invocazione, come un appello alle creature nascoste e scacciate dalla presenza umana, il lungo ululato del mio lupo.