di Brunella Pernigotti
Questo articolo mira a fare chiarezza sul tema della presunta pericolosità del lupo per l’uomo, contrastando i frequenti allarmismi con un’analisi basata su dati scientifici. L’obiettivo è offrire una prospettiva obiettiva e documentata, evidenziando come la situazione attuale, pur presentando alcune criticità, sia lontana dall’essere così grave come spesso viene dipinta. Il lupo, infatti, non rappresenta una minaccia diretta per l’uomo, e ridurre il dibattito a toni drammatici risulta non solo fuorviante ma anche dannoso per la conservazione della specie e l’equilibrio degli ecosistemi. Questo studio sottolinea l’importanza di un approccio razionale e consapevole per gestire eventuali problematiche, senza cedere a paure infondate o a campagne di demonizzazione.
Fonte: https://www.wwf.de/fileadmin/fm-wwf/Publikationen-PDF/Deutschland/Report-Wolf-attacks-2002-2020.pdf
Il grado di pericolo rappresentato dai lupi per la sicurezza umana è al centro del dibattito pubblico a proposito della protezione dei lupi in Europa negli ultimi tre decenni. Il rapporto del Norwegian Institute for Nature (NINA), grazie alle ricerche fatte nella letteratura peer-reviewed, nei rapporti tecnici, nelle fonti dei media online e ai contatti con esperti regionali, ha raccolto quante più informazioni possibili dall’anno 2002 al 2020. La copertura relativa ai dati reperiti in Europa e in Nord America è ottima ed elevata, ma per il resto dell’Eurasia esiste solo un discreto campione di eventi testimoniati, soprattutto per il periodo successivo al 2015. In tutto sono stati identificati casi relativamente affidabili che coinvolgono 489 vittime umane. Di queste 67 erano vittime di attacchi predatori (9 mortali), 380 erano vittime di attacchi rabbiosi (14 mortali) e 42 erano vittime di attacchi provocati/difensivi (3 mortali). Gli attacchi sono stati riscontrati in Canada, USA, Croazia, Polonia, Italia, Iran, Iraq, Israele, India, Kirghizistan, Turchia, Kazakistan, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Russia, Mongolia, Armenia, Azerbaigian, Tagikistan e Arabia Saudita. Inoltre, non è stato possibile includere un numero quasi uguale di casi a causa della scarsa documentazione, così come altri casi che sono stati esclusi in base alle prove ottenute, ad esempio come quando l’attacco è risultato essere effettivamente causato da cani.
La distribuzione degli attacchi dei lupi affetti da rabbia segue da vicino la distribuzione dei casi di rabbia negli esseri umani e in altre specie selvatiche. Questo risulta essere un rischio molto basso per l’Europa grazie alla quasi eradicazione della rabbia. Gli attacchi predatori hanno avuto un’eziologia molto diversa. Alcuni cluster, come quelli dell’Iran occidentale, sembrano essere collegati a paesaggi con bassa densità di prede selvatiche, alta densità di esseri umani che vivono in scarse condizioni socio-economiche, dove il bestiame è la preda principale dei lupi. Un singolo caso sembra essere dovuto a un lupo ferito in cattive condizioni di salute. Una serie di altri casi, tuttavia, sono associati a situazioni in cui i lupi avevano dimostrato un comportamento confidente e avevano utilizzato fonti di cibo antropiche nel periodo antecedente gli attacchi. Tali casi presentano una forte analogia con quelli già noti relativi ad altri grandi canidi come i coyote nel Nord America e i dingo in Australia. Infine, un singolo e ben documentato attacco mortale in Alaska ha coinvolto un gruppo di lupi sani in una zona in cui non c’era alcuna precedente presenza di lupi confidenti o nutriti da risorse antropiche.
C’è un urgente bisogno di saperne di più sul comportamento dei lupi confidenti e capire quando una innocua assuefazione agli umani (che è necessaria per vivere in paesaggi dominati dagli umani) può portare a comportamenti potenzialmente pericolosi. C’è anche la necessità di sviluppare chiare procedure di gestione sia per prevenire lo sviluppo di situazioni pericolose (ad esempio riguardanti l’alimentazione) sia per reagire a tali situazioni quando si presentano. Infine, c’è bisogno di una maggiore comunicazione e sensibilizzazione in questo campo, sia verso il pubblico sia verso le istituzioni mediche, veterinarie e di gestione della fauna selvatica. Più la nostra comprensione degli attacchi dei lupi aumenta, più sembra emergere un’importante convergenza con i rischi molto più conosciuti e meglio compresi associati agli orsi, il che consente una strategia di comunicazione multispecie più coerente.
Pur essendo consapevoli dei potenziali rischi associati ai lupi, è anche fondamentale contestualizzarli. In Europa e Nord America ci sono le prove solo di 12 attacchi (con 14 vittime), di cui 2 (entrambi in Nord America) fatali, in un periodo di 18 anni. Considerando che ci sono circa 60.000 lupi in Nord America e 15.000 in Europa, e che tutti questi condividono il territorio con centinaia di milioni di persone, è evidente che i rischi associati a un attacco di lupo sono superiori a zero, ma troppo bassi per essere calcolati.
Dalla prima metà del XX secolo, le popolazioni di lupi in Europa si sono notevolmente espanse, rioccupando ampie zone del continente. Secondo i dati aggiornati al 2016 si stima che in Europa ci siano circa 17.000 lupi, senza contare Russia, Ucraina e Bielorussia. Dal punto di vista della conservazione della fauna selvatica, questo rappresenta una delle storie di successo degli ultimi 50 anni.
Tuttavia, il ritorno del lupo non è stato accolto con favore da tutti, poiché è stato anche associato alla ripresa di una vasta gamma di antichi conflitti e alla comparsa di altri che sono unici per i nostri tempi. La tendenza dei lupi a depredare il bestiame è ben documentata. Oltre a questi impatti molto tangibili, vi è una serie di conflitti sociali meno tangibili, ma molto importanti, che, se non affrontati adeguatamente, si esprimeranno tipicamente come uno scontro di atteggiamenti, valori o conoscenze tra diverse parti interessate o settori del pubblico. Una delle discussioni dominanti nei media, nei social media e nel dibattito pubblico riguarda il potenziale pericolo che i lupi rappresentano per la sicurezza umana. Ciò si traduce in diffuse espressioni di disagio, limitazione della libertà e paura assoluta. Nei primi decenni di conservazione del lupo, iniziati negli anni ’60 e ’70, c’era una convinzione diffusa tra i conservazionisti del lupo, in particolare nordamericani, che i lupi non fossero potenzialmente pericolosi e non avessero mai attaccato le persone. Questa visione apertamente ottimistica non era in linea con la realtà storica o attuale di altre parti del mondo, ma le barriere linguistiche e disciplinari avevano ostacolato lo sviluppo di un consenso unificato sulla questione. La fine del XX secolo e i primi anni del XXI secolo hanno visto un’ondata di studi su questo argomento, con biologi, gestori della fauna selvatica, storici, veterinari, dottori ed esaminatori forensi che hanno contribuito con resoconti di casi, anche passati, risultati di progetti di ricerca e approfondimenti che hanno iniziato a dipingere un quadro globale molto più complesso e rappresentativo della relazione tra lupi ed esseri umani. Nei successivi 18 anni il livello globale di conoscenza professionale e scientifica sui rischi della condivisione dello spazio con i lupi e le altre grandi specie predatrici si è sviluppato notevolmente. Si è quindi ritenuto che fosse giunto il momento di un aggiornamento per vedere se le principali conclusioni del 2002 sono ancora valide oggi.
Un argomento molto specifico come gli attacchi dei lupi alle persone non è né un campo convenzionale di indagine scientifica né un’area in cui gli enti nazionali o internazionali raccolgono regolarmente dati. Pertanto, qualsiasi tentativo di generare una panoramica dell’argomento richiede molto lavoro investigativo, raccogliendo informazioni da molte fonti diverse. A causa della natura politica dell’argomento, c’è anche una grande quantità di resoconti errati e notizie false deliberate, per cui ogni rapporto deve essere valutato e sottoposto a un controllo di credibilità.
Rispetto al passato, la ricerca di Linnell et al. del 2002, creò una visione molto più ampia in Europa e Asia e incorporò eventi degli ultimi 30 anni. In quello stesso periodo, un ricercatore dell’Alaska compilò una revisione degli attacchi dei lupi alle persone del Nord America. Il risultato di questi due rapporti ritrae un quadro leggermente diverso della relazione tra lupi e umani rispetto ai risultati nel rapporto di Mech del 1970. Storicamente, dall’Europa e dalla Russia, c’erano prove schiaccianti di molti casi di lupi che attaccavano le persone. Inoltre, c’erano considerevoli dati contemporanei riguardanti lupi che attaccavano e uccidevano persone in Europa, Asia e Nord America.
Sulla base di un’analisi dei nuovi casi segnalati, Linnell et al. (2002) riconobbero tre categorie di attacchi. In primo luogo, una percentuale molto ampia di attacchi sembrava essere dovuta a lupi con rabbia. In secondo luogo, un piccolo numero di casi venne classificato come investigativo/difensivo, costituito principalmente da eventi in cui i lupi avevano morso le persone per legittima difesa o in cui lupi apparentemente ingenui avevano morso le persone come per “testare” la loro idoneità come prede. Infine, c’erano molti casi che potevano essere descritti solo come predatori, in cui gli umani, principalmente bambini, erano stati chiaramente uccisi dai lupi. Questi resoconti erano sparsi nell’Europa storica e nell’Asia meridionale contemporanea e, in larga misura, tendevano a ricadere in gruppi discreti nello spazio e nel tempo. La maggior parte di essi tendeva a essere associata a condizioni socio-ecologiche piuttosto specifiche. All’epoca dei rapporti del 2002, gli storici stavano appena iniziando a indagare sulle fonti d’archivio in Europa e in Russia per cercare approfondimenti sulle relazioni storiche (relative a 400 anni di storia) tra lupi e umani. Alcune di queste indagini rivelarono un numero considerevole di segnalazioni di attacchi di lupi. La pubblicazione di questi due rapporti nel 2002 (Linnell et al. 2002, McNay 2002) ha creato un cambiamento nella nostra comprensione dei potenziali pericoli rappresentati dai lupi. Ma questa nuova comprensione ha semplicemente portato i lupi allo stesso livello dei valori che utilizziamo per considerare i potenziali rischi posti da tutti i grandi predatori, come orsi polari, neri, bruni e labiati, leoni, tigri, leopardi e puma, e squali e coccodrilli.
I fenomeni della fauna selvatica che attacca le persone hanno suscitato notevole interesse negli ultimi anni. Ciò è dovuto principalmente al nuovo concetto della conservazione della fauna selvatica, con un coinvolgimento limitato da parte delle discipline mediche e di sanità pubblica.
Questa letteratura ha saldamente inserito l’argomento dei conflitti tra uomo e fauna selvatica nell’agenda della conservazione. Per gruppi di specie come orsi e puma, queste analisi dei dati hanno iniziato a identificare modelli che fanno luce sulle circostanze e sui meccanismi alla base degli attacchi, molto utili per la gestione della fauna selvatica e per fornire linee guida su come rispondere. La nostra comprensione dei meccanismi alla base degli attacchi da parte dei grandi canidi (coyote, lupi e dingo) è in ritardo rispetto ad altre specie, sebbene vi siano stati molti progressi recenti.
Sebbene gli attacchi predatori sembrino essere diffusi nelle fonti storiche, sono relativamente rari nelle situazioni contemporanee. Alcuni dei casi meglio documentati menzionati nel rapporto del 2002 provengono dall’India e sono simili ai casi storici, in comunità rurali povere, paesaggi con poche prede selvatiche e lupi che dipendono dal consumo di immondizia, carogne e bestiame. Tali situazioni portano i lupi a frequenti e stretti contatti con le persone dove i bambini sono spesso vulnerabili ed esposti. In queste circostanze sembra che per una piccolissima minoranza di lupi esista la possibilità di vedere i bambini piccoli come prede.
Gli altri casi segnalati sono associati a situazioni in cui i lupi venivano spesso visti vicino alle persone, dimostravano un’estrema mancanza di timidezza e in molti casi erano abituati a usare fonti di cibo antropogeniche o ad uccidere animali domestici regolarmente. Molti di questi casi, ma non tutti, si sono verificati in aree protette o in paesaggi con bassa pressione di caccia sui lupi. Questi ultimi casi sono molto simili a quelli con coyote e dingo. Sebbene la stragrande maggioranza dei grandi canidi in queste situazioni non attacchi mai le persone, ci sono sufficienti indicazioni che indicano rischi per cui è importante esplorare ciò che sappiamo su questi processi associati all’assuefazione. Ciò è particolarmente vero perché queste sono circostanze che probabilmente aumenteranno in futuro nel mondo occidentale e perché i rischi associati a lupi considerati “audaci” o “intrepidi” sono diventati una parte centrale delle controversie e dei dibattiti pubblici sui pericoli posti dai lupi nel mondo occidentale.
Cosa sappiamo sull’assuefazione, l’audacia e l’aggressività nei carnivori?
L’assuefazione è il processo mediante il quale gli individui riducono la loro risposta a determinati fattori esterni e imparano quindi a tollerarli, incluso l’aumento della vicinanza a influenze antropiche. Gli animali più audaci o più esplorativi hanno maggiori probabilità di abituarsi più velocemente. C’è una consapevolezza generale che la maggior parte dei carnivori che vivono in paesaggi dominati dall’uomo ha raggiunto un alto grado di abituazione. Lo studio dei tratti comportamentali degli animali che riflettono la “personalità animale” ha accumulato decenni di esperienza da specie in cattività, tuttavia, lo studio della personalità animale in natura è in ritardo a causa delle enormi sfide logistiche coinvolte. Il comportamento individuale è modellato da molteplici aspetti. Numerosi studi su molte specie hanno dimostrato che i tratti comportamentali sono parzialmente ereditati e creano una predisposizione genetica in determinate personalità. Tuttavia, questa predisposizione è poi soggetta a essere modificata da molteplici fattori, tra cui le esperienze personali degli individui, l’insegnamento dei genitori, il comportamento dei fratelli di cucciolata, la condizione fisica, l’età, il sesso e persino gli effetti materni prenatali (epigenetica). Questa complessità significa che sarà quasi impossibile identificare i driver specifici dietro ogni personalità individuale. Ci sono anche forti ragioni selettive per mantenere una diversità di tipi comportamentali, anche all’interno delle cucciolate.
Gli etologi riconoscono cinque gradienti principali lungo i quali si trovano i singoli animali. Questi sono (1) timidezza/audacia, (2) esplorativo/evitante, (3) aggressività, (4) socievolezza e (5) attività. Di principale interesse per lo studio degli attacchi dei lupi agli esseri umani sono i gradienti timidezza-audacia ed esplorativo-evitante. Esiste un’ampia base di ricerca che documenta che gli individui di più specie con un comportamento più audace o più esplorativo sono quelli che probabilmente saranno favoriti nei paesaggi dominati dall’uomo. Quando si considera la conservazione del lupo nell’Antropocene è chiaro che i lupi avranno bisogno dei tratti comportamentali che consentano loro di abitare paesaggi modificati dall’uomo e dominati dall’uomo. Gli studi hanno dimostrato che i coyote urbani mostrano un grado maggiore di audacia e di comportamento esplorativo rispetto ai coyote rurali e che i giovani coyote cresciuti da genitori abituati diventano più abituati loro stessi. Sebbene non si sappia fino a che punto ciò accada ai lupi, la questione di come gli esseri umani stiano imponendo un effetto selettivo “addomesticante” sulla fauna selvatica è un argomento di ricerca in crescita. Tuttavia, il semplice fatto che i lupi possano tollerare di trovarsi in paesaggi dominati dagli esseri umani e di essere vicini al disturbo da questi creato, non implica che siano automaticamente un pericolo per gli uomini. Piuttosto, queste caratteristiche sono una necessità per la loro sopravvivenza nell’era moderna. Le situazioni più preoccupanti sono quelle in cui i lupi iniziano a mostrare tolleranza alla stretta vicinanza degli esseri umani (ad esempio entro 30-50 m), iniziano ad avvicinarsi direttamente alle persone e quando iniziano ad associare direttamente gli esseri umani al cibo. Anche queste situazioni non implicano automaticamente che i lupi attaccheranno, ma sono circostanze associate a molti degli attacchi documentati in questo rapporto.
Resta quindi la domanda su quali reazioni siano appropriate.
Esistono diverse opzioni disponibili per rispondere ai lupi che mostrano comportamenti indesiderati, che possono essere visualizzati lungo un gradiente di invasività che va da proattivi a reattivi.
1 Rimuovere le fonti di cibo.
Escludere i lupi dalle fonti di cibo direttamente associate agli esseri umani è sia un’importante misura proattiva che una misura reattiva di prima linea. Ciò implica sia fonti di cibo in stretta prossimità spaziale agli esseri umani sia fonti di cibo che consentono un’associazione di cibo con gli esseri umani.
2 La punizione.
Il principio della punizione è quello di fornire uno stimolo negativo che può essere associato alla presenza di esseri umani o delle loro strutture che possono modificare il comportamento del lupo. In altre parole, annullare gli effetti dell’assuefazione. Esiste un grado molto elevato di incertezza riguardo all’efficacia dell’indurre una maggiore timidezza nei canidi selvatici. Sulla base dei dati pubblicati sui canidi e altre specie è possibile trarre le seguenti conclusioni preliminari:
(I) Stimoli negativi lievi come pistole ad acqua, fischietti, corni e luci hanno effetti minimi, sebbene le combinazioni funzionino meglio di stimoli singoli.
(II) Esiste una variazione individuale massiccia dovuta al tipo di personalità e al grado di assuefazione.
(III) È importante reagire all’inizio del processo.
(IV) È più difficile trattare animali che sono condizionati dal cibo rispetto a quelli che sono semplicemente abituati alla presenza degli umani.
(V) Potrebbero essere necessari trattamenti multipli.
(VI) È importante somministrare la punizione nelle situazioni specifiche che si desidera scoraggiare.
In altre parole, l’esperienza è mista, con buoni esempi di successo ed esempi in cui non funziona.
È chiaro che c’è bisogno di una raccolta di dati molto più ampia e di uno studio sistematico del comportamento dei canidi e della loro risposta agli umani. Tuttavia, c’è abbastanza esperienza per dire che in alcune situazioni può funzionare e che in altre situazioni non è sufficiente. L’unica altra opzione esistente è quella di rimuovere l’animale.
3 La rimozione selettiva degli animali.
Nei casi in cui singoli lupi mostrano un comportamento indesiderato o inaccettabile e in cui la punizione ha fallito o non è praticabile, l’unica opzione è quella di rimuovere il singolo animale. La cattura dell’animale vivo è una possibilità teorica, ma è eccezionalmente dispendiosa in termini di tempo, costosa e difficile. Inoltre, c’è la questione di cosa farne una volta catturato. Chiaramente non può essere rilasciato di nuovo in natura perché non ci sono luoghi senza presenza umana, quindi l’unica opzione è tenerlo in cattività per tutta la vita. Tenere un lupo nato in natura in cattività rappresenta notevoli sfide pratiche e di benessere degli animali e comporta costi enormi. Nel complesso, l’unica opzione realistica nella maggior parte delle situazioni sarà quella di sparare al lupo sul campo. Il controllo letale è più rapido, più efficiente, molto più economico e probabilmente più umano. Il controllo letale è di gran lunga la misura più comunemente impiegata in risposta ad attacchi alle persone o in situazioni in cui gli animali sono identificati come minacce per la sicurezza umana.
4 La caccia al lupo.
C’è molta discussione pubblica sul fatto che la caccia di routine ai lupi serva a ridurre i rischi di assuefazione e di attacchi alle persone. È importante considerare con quale meccanismo può avere un effetto. Potenzialmente, potrebbe funzionare tramite diversi meccanismi.
(I) Riduzione della popolazione, che si basa sul presupposto che il rischio di comportamento problematico dipenda dalla densità e che la caccia riduca la popolazione.
(II) Apprendimento, che si basa sul presupposto che il disturbo causato dalla caccia induca timidezza nei lupi.
(III) Selezione, che si basa sul presupposto che alcuni lupi abbiano una predisposizione genetica a comportamenti problematici e che la caccia possa rimuovere questi animali.
Alcuni degli attacchi predatori descritti in questo rapporto si sono verificati, però, in aree in cui le popolazioni di lupi sono soggette a caccia e/o cattura da parte dei cacciatori. Sembrerebbe quindi improbabile che vi sia un forte beneficio a livello di popolazione che operi attraverso la selezione contro una predisposizione genetica all’audacia. Al contrario, è possibile che la caccia possa rimuovere gli individui che iniziano a mostrare un comportamento estremamente abituato e/o che il disturbo causato dal processo di caccia possa fungere da forma di intimidazione. Al momento è impossibile trarre conclusioni su questo problema. Tuttavia, c’è una reale necessità di ottenere dati scientifici solidi su questo problema da studi sul campo di lupi sottoposti a diversi regimi di gestione.
5 I protocolli di gestione.
La gestione dei lupi sarà sempre molto controversa sia tra i professionisti che tra il pubblico, soprattutto quando si discute di controllo letale. È quindi molto importante stabilire in anticipo linee guida di gestione chiare che descrivano in dettaglio come le autorità risponderanno alle diverse situazioni, con azioni proporzionate in base al livello di minaccia rappresentato dall’animale. Le linee guida reattive devono anche essere accompagnate da chiare indicazioni sulle misure di prevenzione, in particolare relative all’alimentazione dei lupi. Un ultimo aspetto è chiarire le questioni di responsabilità legale, particolarmente importanti nelle aree protette.
6 La comunicazione.
La comunicazione del rischio rappresentato dai lupi è complessa. Da un lato è importante comunicare che i rischi rappresentati dai lupi selvatici sono così minimi che non possono essere calcolati, soprattutto in contesti europei e nordamericani, in modo da ridurre la paura. D’altro canto, è importante comunicare che questo rischio non è zero, al fine di preparare il pubblico alla possibile necessità di misure reattive e ottenere l’accettazione di azioni/restrizioni proattive. La comprensione dei rischi derivanti dai lupi sta crescendo e sembra che essi siano sempre più simili a quelli rappresentati dagli orsi, che sono molto meglio compresi, vale a dire che la maggior parte degli individui non sono pericolosi, ma che ci sono dei rischi legati a individui abituati e soprattutto condizionati dal cibo, per cui in alcune rare occasioni si verificheranno incidenti imprevedibili e non provocati. Ciò dovrebbe consentire un tipo di comunicazione più unificata e coerente. I lupi hanno anche il vantaggio che le informazioni da dare su come reagire a un eventuale incontro ravvicinato o attacco sono simili a quelle che le persone dovrebbero avere in occasione di un incontro con cani domestici liberi, che sono familiari alla maggior parte delle persone. È anche una sfida comunicare i dettagli di ciò che costituisce un comportamento rischioso. La mera presenza di un lupo in un paesaggio dominato dall’uomo non è motivo di preoccupazione. La presenza di un lupo che passa davanti a una casa o cammina lungo una strada non è un problema. Vedere un lupo da lontano non è un rischio. Il problema sorge se si verificano ripetuti episodi di avvistamenti di lupi a breve distanza, in cui il lupo non reagisce con cautela o in cui i lupi consumano regolarmente cibo di origine antropica in prossimità di persone o case.
7 Le procedure legali e di documentazione.
Se viene segnalato un attacco da parte di un lupo, è essenziale che il caso venga adeguatamente indagato utilizzando procedure forensi formali. Ciò per evitare di confondere, deliberatamente o per errore, gli attacchi dei cani con gli attacchi dei lupi. Molti dei rapporti rimangono non verificati perché non c’è stato alcun follow-up degli attacchi. Gli attacchi da parte dei cani sono enormemente più comuni di quelli dei lupi. Esiste un crescente corpo di prove giudiziarie che descrivono le caratteristiche degli attacchi di lupi, di cani e di altri carnivori, che devono essere sintetizzate e rese disponibili al personale medico, ai soccorritori, alle forze dell’ordine e al personale addetto alla gestione della fauna selvatica. Gli attacchi da parte di lupi e di cani sono ampiamente simili, quindi è essenziale che ci si procuri i campioni di DNA dalle ferite da morso e dalla superficie della pelle e degli indumenti circostanti i morsi. Ciò è essenziale sia per identificare in modo inequivocabile la specie giusta sia per identificare se dopo l’attacco è stato catturato o ucciso l’individuo corretto.
8 L’esigenza di informazioni.
Ci sono moltissime lacune nella nostra conoscenza riguardo ai lupi audaci/intrepidi/abituati e alle reazioni agli umani in paesaggi dominati dall’uomo. Questi comportamenti sono logisticamente difficili da studiare sul campo visto che le loro interazioni con gli umani sono molto rare. Un approccio possibile è quello di creare un database migliore dei crescenti incidenti per accumulare un corpo più ampio di resoconti di casi dettagliati che forniranno approfondimenti nel tempo. È anche necessario annotare i risultati dell’esperienza con i diversi interventi, come la punizione o il controllo letale, in modo che sia possibile documentare meglio l’efficacia delle diverse azioni. Tuttavia, approfondimenti davvero dettagliati dovranno provenire dall’analisi dei dati sui movimenti e sul comportamento dei lupi con collare GPS per studiare come reagiscono al disturbo umano. Un approccio interessante è quello di utilizzare dati GPS intensivi per studiare i movimenti su piccola scala vicino alle case o per studiare come i lupi reagiscono agli approcci deliberati delle persone. Questo disegno sperimentale è stato utilizzato un po’ con i lupi e intensamente con gli orsi. Questo approccio sistematico può essere ripetuto in diverse situazioni per comprendere i fattori che spiegano le differenze nella risposta del lupo agli umani.
Forse vale la pena conoscere i dati reali sugli attacchi agli umani da parte di tutti gli animali. Prendendo spunto da questo interessante articolo de Il Sole 24 Ore , scopriamo che tra i venti animali più pericolosi per l’uomo, il lupo e lo squalo sono gli ultimi della lista.
La realtà è che l’animale che fa più vittime ogni anno è la zanzara, con ben 830.000 decessi legati a malattie che trasmette. Al contrario, gli attacchi dei lupi agli esseri umani sono rari e spesso legati a circostanze eccezionali.
È tempo di sfatare miti e paure infondate, basandoci su dati concreti e non su pregiudizi. I lupi sono una parte fondamentale del nostro ecosistema, non una minaccia.
Per approfondire, ecco l’articolo completo: I venti animali che fanno più vittime – Il Sole 24 Ore https://www.infodata.ilsole24ore.com/2019/09/24/gli-animali-piu-pericolosi-per-luomo/
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