Di Antonio Iannibelli
L’Europa si appresta a ridurre lo status di protezione del lupo. Ma ogni argomento a favore di questa misura si basa su percezioni errate, ignora i dati scientifici e rischia di generare un impatto opposto: più conflitti, più squilibri, meno biodiversità. Il recente tentativo dell’Unione Europea di declassare la protezione del lupo è un grave passo indietro nella conservazione della biodiversità e nella gestione degli ecosistemi. La misura, spinta da pressioni lobbistiche e da allarmismi privi di fondamento scientifico, rischia di trasformarsi in un boomerang ambientale e sociale.
1. La falsa emergenza: non è vero che i lupi sono troppi
Una delle giustificazioni più ricorrenti è che la popolazione di lupi starebbe crescendo in modo incontrollato. Tuttavia, la realtà dei dati smentisce questa narrazione: il lupo ha già raggiunto il limite territoriale nelle aree montane e collinari, dove quasi tutti i territori sono occupati. Inoltre, il suo tasso di mortalità naturale e antropica supera il 30% annuo, soprattutto a causa di bracconaggio, incidenti e avvelenamenti. È insostenibile parlare di sovrappopolazione quando la specie è già sotto stress e il suo habitat si riduce ogni anno per effetto dell’espansione urbana, del consumo di suolo e della crescente frantumazione del territorio naturale. La progressiva suddivisione degli ecosistemi in aree isolate, spesso interrotte da infrastrutture e insediamenti umani, limita i movimenti dei lupi, ostacola il ricambio genetico tra le popolazioni e ne aumenta la vulnerabilità, aggravando il rischio di declino demografico.
2. Più abbattimenti, più problemi
L’idea che uccidere più lupi riduca i conflitti con gli allevatori è fallace e controproducente. Gli abbattimenti, soprattutto se non mirati, frammentano i branchi e destabilizzano la struttura sociale della specie. In particolare, l’eliminazione di uno o entrambi i membri della coppia riproduttiva compromette l’unità familiare e i meccanismi di trasmissione di comportamenti adattativi e prudenti nei confronti dell’uomo. Questo genera effetti a catena: i lupi superstiti, spesso giovani e inesperti, possono assumere comportamenti più audaci, spostandosi verso zone abitate e diventando più inclini ad attaccare il bestiame domestico. Inoltre, si avvicinano sempre più alle attività umane in cerca di cibo facile, attratti da rifiuti non protetti, resti di macellazione o animali domestici non custoditi, aumentando così il rischio di interazioni conflittuali.
La disgregazione del branco impedisce la caccia cooperativa, costringendo i lupi a ripiegare su prede più facili, tra cui animali allevati. Inoltre, la percezione di una maggiore presenza dei lupi, alimentata da abbattimenti che causano una ridistribuzione territoriale caotica, contribuisce ad accrescere la conflittualità e l’ostilità nei confronti della specie. Studi scientifici indicano che l’uccisione indiscriminata di predatori sociali può aumentare il tasso di predazione sul bestiame invece che ridurlo, soprattutto quando gli animali più esperti vengono rimossi. È quindi fondamentale gestire la convivenza attraverso metodi non letali, prevenzione, educazione e monitoraggio costante, piuttosto che con soluzioni repressive e inefficaci.
3. La presenza in pianura: una questione di percezione
L’aumento di avvistamenti in pianura è dovuto alla visibilità dei lupi in ambienti aperti, non a un reale incremento numerico. Lo stesso individuo può essere visto più volte da persone diverse, generando l’illusione di una densità elevata. In realtà, si tratta per lo più di giovani in dispersione, alla ricerca di nuovi territori, spesso transitori e inadatti alla loro sopravvivenza. Inoltre, in alcune aree di pianura caratterizzate dalla massiccia presenza di nutrie, il lupo contribuisce naturalmente al loro controllo numerico, svolgendo un ruolo ecologico positivo anche in questi contesti meno tipici del suo habitat tradizionale.
4. Ecosistemi più sani grazie al lupo
Eliminare i lupi significa alterare radicalmente l’equilibrio naturale. Il lupo regola le popolazioni di ungulati come cervi, daini e cinghiali, le cui attività di pascolamento possono esercitare una forte pressione sugli ecosistemi boschivi. Inoltre, la sua azione predatoria si basa su un meccanismo di selezione naturale compensatoria: tende a eliminare gli individui più deboli, malati o inadatti, favorendo così la riproduzione degli esemplari più forti e sani. Al contrario, la selezione operata dall’uomo attraverso la caccia, sia legale che illegale, si concentra spesso sugli individui più sani e vigorosi, scelti per le loro caratteristiche estetiche o come trofei. Questo comportamento umano, invertendo il processo naturale, finisce per indebolire le popolazioni di prede, compromettendone la robustezza e l’adattabilità. In assenza del lupo, questi erbivori tendono a sovrappopolarsi e a nutrirsi in maniera intensiva dei giovani alberi e della vegetazione arbustiva, compromettendo la rigenerazione delle foreste, l’equilibrio della flora spontanea e la stabilità del suolo. Questo deterioramento riduce l’habitat disponibile per altre specie, innescando una cascata di impoverimento della biodiversità. Inoltre, l’eccessiva densità di ungulati aumenta anche il rischio di diffusione di malattie come la tubercolosi e la peste suina africana, con potenziali ripercussioni sulla fauna domestica.
La presenza del lupo contribuisce quindi a mantenere una distribuzione più equilibrata e funzionale degli erbivori, proteggendo il paesaggio naturale nella sua interezza. I boschi non sovrapascolati si arricchiscono di vegetazione diversificata, con benefici per la qualità dell’aria, dell’acqua e per la bellezza del paesaggio stesso. La visione di un ambiente con il lupo è quella di un ecosistema rigoglioso, sano e più armonioso anche per l’essere umano. Il lupo è un predatore chiave e insostituibile per mantenere la salute e la resilienza degli ecosistemi.
5. Il conflitto con la zootecnia è gestibile
Nel Sud Italia esistono ancora metodi tradizionali ed efficaci di protezione del bestiame, che prevedono la gestione di greggi di dimensioni contenute, solitamente inferiori alle 300 unità, la chiusura notturna degli animali negli stazzi, la costante presenza del pastore durante il pascolo e l’impiego di cani da guardia (come i Maremmano-Abruzzesi) e da conduzione. Questa combinazione di misure, basata sulla sorveglianza attiva e sulla prevenzione, tiene efficacemente i lupi a distanza e riduce drasticamente le predazioni, dimostrando che la convivenza è possibile senza ricorrere agli abbattimenti. Dove queste pratiche vengono adottate, le predazioni si riducono drasticamente. Il problema non è la presenza del lupo, ma la carenza di una gestione adeguata del pascolo e del territorio.
6. Il rischio di estinzione è reale
Ridurre la protezione equivale a legalizzare l’abbattimento di un ulteriore 3-5% della popolazione annua, in una situazione già critica. Nessuna specie può sopportare una mortalità complessiva superiore al 30% senza declinare rapidamente. Inoltre, un allentamento del quadro normativo aumenterebbe inevitabilmente la pressione del bracconaggio sulla specie: la riduzione della tutela può essere percepita come un via libera implicito a ogni forma di persecuzione, anche illegale, rendendo più difficile il contrasto ai reati faunistici. Con minori controlli e minore deterrenza, si rischia di incentivare pratiche illecite come l’uso di veleni, trappole e abbattimenti non autorizzati. Il *Canis lupus italicus* è una sottospecie genetica unica al mondo, minacciata non solo dalla persecuzione diretta, ma anche da ibridazione, perdita di habitat e isolamento.
7. Una decisione contro la Costituzione e la volontà popolare
La nostra Costituzione tutela esplicitamente la biodiversità e vieta che l’economia danneggi l’ambiente, come stabilito dagli articoli 9 e 41. L’articolo 9 sancisce che “la Repubblica tutela il paesaggio, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”, mentre l’articolo 41 vieta che “l’iniziativa economica privata possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e all’ambiente”. Autorizzare l’abbattimento del lupo significherebbe violare questi principi costituzionali fondamentali.
Inoltre, la proposta di declassamento si pone in netta contrapposizione con la volontà popolare e il parere della comunità scientifica. Oltre 300 organizzazioni ambientaliste in tutto il mondo hanno chiesto all’Unione Europea di mantenere una protezione rigorosa per il lupo. I sondaggi europei mostrano che più del 70% dei cittadini si oppone alla riduzione dello status di tutela. La proposta appare dunque come una scelta politica dettata da interessi particolari, anziché da un’analisi obiettiva e razionale basata su dati scientifici.
Infine, la decisione della Commissione Europea di considerare il lupo come un’unica popolazione a livello continentale è fuorviante: ignora le specificità ecologiche e genetiche delle singole popolazioni locali, come il *Canis lupus italicus*, una sottospecie unica e vulnerabile. La frammentazione degli habitat, il consumo di suolo, la pressione venatoria e l’ibridazione rappresentano minacce gravi e continue. Declassare la protezione significa aggravare una situazione già critica, andando contro gli impegni nazionali e internazionali sulla tutela della biodiversità.
Conclusione: il declassamento del lupo è un errore strategico e morale
Le motivazioni alla base del declassamento sono scientificamente infondate e potenzialmente dannose. Ogni argomento usato per giustificare questa scelta si sgretola sotto il peso dei dati e dell’esperienza. Proteggere il lupo non è solo un atto di tutela della natura, ma un dovere civico e morale verso le generazioni future. La Direttiva Habitat prevede il mantenimento di uno status di conservazione favorevole per il lupo, obiettivo che può essere garantito solo attraverso un monitoraggio costante della popolazione e una lotta efficace al bracconaggio. Senza questi strumenti, ogni decisione normativa rischia di aggravare ulteriormente la condizione della specie. In molte aree locali si stanno già osservando segnali evidenti di declino demografico, legati a una crescente pressione antropica, alla frammentazione degli habitat, all’aumento della mortalità e all’intensificata pressione venatoria derivante dalle recenti modifiche alla legge 157/1992, che hanno ampliato le possibilità di caccia anche in aree protette, nei giorni di silenzio venatorio e persino in orari notturni. Ridurre la sua protezione, in questo scenario, significa rischiare l’estinzione di una delle specie più iconiche d’Europa, con effetti devastanti sugli equilibri ecologici. L’Europa ha ora l’opportunità di scegliere la scienza, la sostenibilità e il futuro.
Declassare il lupo non è la soluzione. È il problema.
DA SEMPRE E PER SEMPRE LUNGA VITA A TUTTI I LUPI .