Ritorno al passato. Le conseguenze del declassamento del lupo in Europa

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Di Ettore Randiettorerandi17@gmail.com

[pubblicato su Natura & Società n. 4 2024, la rivista online della Federazione Nazionale ProNatura; https://www.pro-natura.it/home.html ]

Anche se pudicamente il sito web della Convenzione di Berna annuncia che lo Standing Committee ha approvato la proposta europea di modificare la protezione del lupo (Canis lupus), in realtà si tratta di downgrading, una parola che viene tradotta in italiano come declassamento, un concetto decisamente brutto che secondo il Vocabolario Treccani può anche significare degradazione, dequalificazione, retrocessione. Ma questo è quanto ha deliberato la quarantaquattresima riunione dello Standing Committee della Convenzione. Fino al 3 dicembre 2024 il lupo era “specie strettamente protetta” iscritta nell’Allegato II della Convenzione. Dal 6 dicembre il lupo in Europa viene retrocesso a “specie protetta”, e quindi dovrà essere iscritta nell’Allegato III della Convenzione. Per chiarire le conseguenze del downgrading, riporto alla lettera la versione in italiano di parte dell’Art. 7 della Convenzione relativo alle specie di fauna, incluso il lupo, in Allegato III, per le quali si potranno adottare: “a) periodi di chiusura e/o altri provvedimenti atti a regolare lo sfruttamento; b) il divieto temporaneo o locale di sfruttamento, ove necessario, onde ripristinare una densità soddisfacente delle popolazioni; c) la regolamentazione, ove necessario, di vendita, detenzione, trasporto o commercializzazione di animali selvatici, vivi o morti. Il testo dell’articolo non è di comprensione immediata, forse perché si riferisce ad un elenco di specie molto diverse che va dalle spugne ai cetacei e ai carnivori, ma è chiaro che prevede esplicitamente il possibile “sfruttamento” di specie di fauna selvatica. Nella sostanza si dice che le specie in Allegato III sono “sfruttabili”, quindi, nel caso della selvaggina e del lupo, sono cacciabili. Tuttavia, per tutelarne lo stato di conservazione favorevole: a) lo sfruttamento si può sospendere attivando periodi di chiusura (della caccia); b) lo sfruttamento può essere sospeso temporaneamente o localmente; c) la vendita, detenzione ecc. sono consentite, ma sono regolamentabili. Nel caso del lupo, sfruttamento evidentemente significa consentire attività venatorie, cioè certe forme di “caccia”. Vengono così a cadere le più importanti misure di protezione rigorosa, che fra l’altro vietavano (anche qui riporto alla lettera la versione in italiano di parte Art. 6 della Convenzione): “a) qualsiasi forma di cattura intenzionale, di detenzione e di uccisione intenzionale; b) il deterioramento o la distruzione intenzionali dei siti di riproduzione o di riposo; c) il molestare intenzionalmente la fauna selvatica, specie nel periodo della riproduzione, dell’allevamento e dell’ibernazione, nella misura in cui tali molestie siano significative in relazione agli scopi della presente convenzione; e) la detenzione ed il commercio interno di tali animali, vivi o morti, come pure imbalsamati, nonché di parti o prodotti facilmente identificabili ottenuti dall’animale”.

Nello scenario peggiore del downgrading possiamo davvero immaginare che i siti di riproduzione o di riposo dei lupi vengano “distrutti” o “molestati intenzionalmente”? Che i lupi “vivi o morti” possano essere oggetto di commercio? A proposito di sfruttamento: ripartirà il commercio delle pelli di lupo?  Vogliamo proprio sperare che non sarà così. Considerato che lo scopo fondamentale della Convenzione è di “di assicurare la conservazione della flora e della fauna selvatiche e dei loro habitat naturali” (Art. 1), le applicazioni del downgrading dovranno comunque tener conto della persistente fragilità di alcune delle loro popolazioni e tutelare le funzioni che i lupi svolgono negli ecosistemi naturali. Ma la revisione della Convenzione di Berna rende necessaria anche la revisione della Direttiva Habitats, il che comporterà lo spostamento del lupo dall’allegato IV (elenco delle specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa) all’allegato V (specie animali e vegetali di interesse comunitario il cui prelievo nella natura e il cui sfruttamento potrebbe formare oggetto di misure di gestione). Ecco ancora il riferimento esplicito allo sfruttamento, il che rafforza il timore che i lupi possano essere prelevati e sfruttati, non solo singolarmente nei casi in cui singoli individui vengano identificati come “pericolosi”, come è stato possibile finora in deroga alle misure di rigorosa protezione, ma in quanto “oggetto di misure di gestione”, cioè di caccia.

Le indicazioni della Convenzione di Berna e Habitats sono generiche, dovranno essere recepite dagli stati membri e servirà tempo per approvare i necessari regolamenti applicativi e le linee guida. Ma le dichiarazioni di certe associazioni degli agricoltori, delle associazioni venatorie, di ministri ed esponenti politici dei partiti della coalizione di questo governo hanno immediatamente identificato il core business del declassamento: sarà possibile elaborare piani di prelievo (venatorio) del lupo, senza troppi obblighi burocratici, senza la necessità di ottenere deroghe o autorizzazioni. Da anni (2002-2019) ISPRA ha elaborato un piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, piano che non è mai stato approvato dalle regioni. Ora, sfruttando il momento favorevole, la Regione Lombardia ha immediatamente proposto l’istituzione di un tavolo di coordinamento interregionale per la gestione del lupo. È probabile che a questo punto il piano d’azione sarà riscritto e finalmente approvato, forse enfatizzando l’autonomia decisionale delle regioni e marginalizzando i ruoli di supervisione scientifica di ISPRA ed il coordinamento nazionale del Ministero dell’Ambiente. Per tutelare lo stato favorevole delle popolazioni di lupo, invece è necessario che le funzioni delle istituzioni scientifiche, delle agenzie nazionali ed europee di conservazione della natura, rimangano e vengano rafforzate. È noto e scientificamente dimostrato che in Europa le principali popolazioni di lupo sono transfrontaliere e transregionali. È già difficile immaginare come i singoli stati possano gestirle indipendentemente; non vogliamo neppure pensare cosa accadrebbe se fossero le amministrazioni regionali a poter decidere che fare, in autonomia le une dalle altre.

In queste settimane il tema del downgrading è stato ampiamente presentato dai media. Sappiamo che la popolazione italiana di lupo ha seriamente rischiato l’estinzione fra fine ‘800 e i primi anni ’70 del 1900. Dopo secoli di persecuzione al lupo e ad altre specie di fauna definite “nocive”, restavano due popolazioni frammentate di circa 100 individui, distribuite nell’Appennino meridionale, fra Campania e Calabria. Il declino si è fermato, e il trend negativo si è invertito piuttosto rapidamente, in conseguenza dalle imponenti trasformazioni socioeconomiche che hanno interessato il nostro Paese a partire dal dopoguerra, soprattutto negli anni ’60 e ’70. L’industrializzazione e urbanizzazione, l’abbandono dell’agricoltura in aree di montagna e collina considerate improduttive, hanno aperto la strada ad una rapida rinaturalizzazione e riforestazione, in parte spontanea, in parte assistita da impianti forestali. A ciò è seguito il ritorno degli ungulati selvatici, le prede naturali del lupo, quasi sempre sostenuto da programmi di ripopolamento in parte ben pianificati e trasparenti (per es. stambecco e camoscio alpino), in parte incontrollati (come nel caso ben noto del cinghiale). I risultati oggi sono molto evidenti: le popolazioni italiane di ungulati selvatici sono molto numerose, forse anche troppo numerose se guardiamo al cinghiale o al capriolo europeo in alcune regioni centro-settentrionali. D’altra parte, sono stati avviati programmi razionali per la salvaguardia delle piccole popolazioni di pregio di sottospecie endemiche: il camoscio appenninico, il capriolo italico, il cervo della Mesola. In questo contesto ecologico, l’espansione del lupo è stata del tutto naturale, favorita anche dalla protezione per legge e dall’istituzione di nuovi parchi nazionali ed altre aree protette. Non ci sono state traslocazioni, immissioni, ripopolamenti o “lanci” di lupi di nessun tipo da parte di nessuno. Il primo monitoraggio nazionale (ISPRA 2022) ci dice che i lupi nelle Alpi sono circa 1.000, negli Appennini circa 2.000-2500. I lupi hanno ricolonizzato circa il 70% delle aree potenzialmente disponibili, dove si sono installate unità familiari riproduttive, territorialmente stabili (fatto salvi incidenti, bracconaggio, avvelenamenti ed altre cause di mortalità prevalentemente antropogenica). Disponiamo di prime indicazioni che anche in Italia, come in Germania ed altrove, l’espansione del lupo sta rallentando. È noto che i lupi in dispersione durante le prime fasi di colonizzazione di nuove aree, possono predare anche bestiame domestico, oltre che nutrirsi di carcasse ed eventuali rifiuti alimentari, come fanno da sempre ovunque. Gli impatti sugli allevanti sono modesti: si stima che in Europa venga depredata una pecora su mille di oltre 60 milioni di capi allevati. Nelle nostre regioni europee, molto abitate ed antropizzate, è impossibile azzerare le predazioni di bestiame, ma programmi nazionali ed europei, soprattutto LIFE, hanno ripetutamente mostrato che disponiamo di sistemi di prevenzione molto efficaci. L’assistenza tecnica agli allevatori e misure di sostegno economico possono ridurre significativamente gli impatti e rendere economicamente sostenibile la coesistenza di attività zootecniche con la presenza di grandi carnivori. Al contrario è dimostrato che l’uccisione di lupi singoli o anche la rimozione di interi nuclei familiari non riducono significativamente le predazioni. Purtroppo, il downgrading va nella direzione opposta. Il messaggio esplicitamente lanciato da associazioni di agricoltori e cacciatori, sostenuto già da tempo da alcuni paesi nordici (Scandinavia), fatto proprio dall’attuale Presidente della Commissione europea e finalmente accettato dalla Convenzione di Berna, è che, al contrario, i lupi ormai sono troppi e la coesistenza non è possibile se non bloccandone l’espansione e limitando le popolazioni, ovunque si decida di farlo, con il minimo possibile di vincoli conservazionistici e burocratici.

Comunque, il processo di implementazione e applicazione del downgrading richiederà tempo. Le decisioni dalla Convenzione di Berna potranno entrare in vigore solo se verranno ratificate entro tre mesi da una maggioranza qualificata dei partner al Consiglio d’Europa. Poi dovrà essere modificata la Direttiva Habitats, il cui Art. 19 precisa che: “Le modifiche necessarie per adeguare al progresso tecnico e scientifico gli allegati I, II, III, V e VI sono adottate dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione. Le modifiche necessarie per adeguare al progresso tecnico e scientifico l’allegato IV sono adottate dal Consiglio, che delibera all’unanimità su proposta della Commissione”. In altri termini: a) se almeno un terzo (17 su 50) dei partner della Convenzione di Berna si opporrà, le modifiche non entreranno in vigore; b) se meno di un terzo dei partner si opporrà, la decisione entrerà in vigore solo in quei paesi che non hanno sollevato obiezioni; c) lo spostamento del lupo in allegato IV della Direttiva dovrà essere approvato dall’unanimità del Consiglio, il che sembra essere improbabile. È quindi possibile che le procedure di downgrading si fermino a questo punto, a meno che non si trovino delle scappatoie legali per bypassare l’Art. 19. In seguito, se approvate dal Consiglio, le modifiche dovranno essere recepite dagli stati membri, che dovranno adeguare le leggi nazionali, elaborare i relativi piani d’azione e le linee guida. È presumibile che saranno necessari mesi, forse un anno o qualcosa in più, prima che il downgrading divenga applicabile e i piani di controllo elaborati dalle regioni possano diventare esecutivi. Abbiamo un po’ di tempo per tentare di bloccarne l’esecuzione oppure per limitarne i danni.

Oltre agli appelli, comunque doverosi, forse servono azioni legali rivolte agli organismi europei che le ONG e le associazioni ambientaliste interessate potrebbero lanciare entro questi tre mesi. In Europa esiste l’istituto dell’Ombudsman, il Mediatore europeo, che già a novembre ha aperto un’indagine sul declassamento del lupo da parte della Commissione europea, sostenendo che mancano evidenze scientifiche, che ci sono dubbi sulle motivazioni (in risposta alle pressioni essenzialmente politiche di portatori di interessi) e ci sono rischi per la conservazione della specie, particolarmente preoccupante in regioni come l’Italia dove, oltre alla caccia “legale” continuerebbe a colpire il bracconaggio. Le convenzioni e direttive EU sono vincolanti, ma lasciano agli stati membri la scelta della forma e dei metodi per raggiungere gli obiettivi prescritti. Perciò in questo periodo di tempo le azioni di informazione e pressione da parte delle organizzazioni per la conservazione della natura, dei conservazionisti e dei ricercatori diventano ancor più importanti. Le conseguenze del downgrading potrebbero interferire sui processi in corso di transizione degli ecosistemi verso stati di rinaturalizzazione più equilibrati. Dobbiamo fare il possibile per ribadire l’importanza dei contributi del lupo ai servizi ecosistemici, come, per es., la predazione di erbivori selvatici e la riduzione del loro impatto sulle colture e vegetazione naturale, il contrasto a malattie infettive come la peste suina africana che è diffusa anche dai cinghiali. Occorre ribadire il sostegno ad ulteriori sperimentazioni e all’utilizzo delle tecnologie di prevenzione; la richiesta di partecipazione ad eventuali revisioni del piano d’azione nazionale e alla redazione di programmi regionali di controllo; il ruolo essenziale della supervisione tecnico-scientifica di ISPRA e del Ministero dell’Ambiente. La Convenzione di Berna e la Direttiva Habitats sono leggi di protezione della biodiversità, ed il loro obiettivo di fondo è garantire lo stato di conservazione favorevole di tutte le popolazioni protette, lupo incluso. Come dichiara il WWF: “Il declassamento del lupo è un ritorno al passato”. Proviamo a fermarlo. Non vorremmo vedere il ritorno dei lupari con i loro trofei esibiti nelle piazze del nostro Paese.

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